Genova. Nessun pentimento per aver sostenuto la scelta di Genova per tenere il G8 del 2001, una decisione che invece molti ritennero sbagliata, a cominciare dal governo Berlusconi allora appena entrato in carica. A vent’anni da un evento globale che ha cambiato la storia della città (e non solo), l’ex sindaco Giuseppe Pericu, che guidò la giunta di Tursi dal 1997 al 2007, ripercorre le aspettative, le speranze, i timori, gli errori e gli orrori di quelle giornate in un’intervista a Genova24. E rifiuta l’idea che non si dovessero correre rischi: “Grazie al G8 – dice – Genova è tornata a essere parte del mondo“.
Pericu, con che emozioni vive questo ventennale?
Per Genova è stato un appuntamento molto importante, con tanti significati diversi. L’immagine che tutti abbiamo in questo momento è quella degli scontri in piazza, delle distruzioni, dei black bloc e soprattutto della morte di Carlo Giuliani e delle violenze della polizia alla Diaz e a Bolzaneto. Però il G8 non è solo quello. C’era stato un lungo tempo di preparazione. Sono stati fatti tanti lavori in città, alcuni importanti, che sono diventati un patrimonio comune: penso a via San Lorenzo pedonalizzata e altre cose di questo tipo. Ci furono tanti incontri preparatori del G8. Arrivarono tanti giornalisti, testate televisive, e furono incontri particolarmente significativi. Mi viene in mente quello organizzato dal cardinale Tettamanzi per il movimento cooperativo. Il tema in discussione era la globalizzazione. Il dibattito era volto a parlarne in termini positivi, perché aveva migliorato le condizioni economiche in certe parti del mondo, ma anche in termini negativi e preoccupati. Ma lo si presentava quasi come un fenomeno ineluttabile. La discussione era trovare meccanismi di gestione. Le organizzazioni del Genoa Social Forum erano volte a sottolineare il problema e a rappresentare la necessità di un’inversione di rotta. Questo dibattito culturale e politico poi è rimasto schiacciato dalle violenze che sono intercorse in quei giorni. Devo dire che i fenomeni globali allora denunciati sono rimasti nel tempo inalterati e li abbiamo presenti ancora oggi.
Lei sostenne la scelta di Genova per il G8: è ancora convinto che fosse la scelta giusta?
Non sono per nulla pentito da questo punto di vista. Io faccio questo ragionamento. Genova ha una grande tradizione storica ed è una grande città. Le grandi città hanno eventi positivi ed eventi negativi. Vivono il loro tempo, non possono starne lontane. Se vivono il loro tempo devono essere presenti ed essere un luogo di confronto e dibattito, a volte anche doloroso come questo, sui grandi temi del tempo. Se si vuole vivere riservati bisogna ridursi a una Rsa, diventare tutti pensionati e sperare che qualcuno non ci disturbi. Ma questo è un modo da emarginati di vivere l’epoca in cui ciascuno di noi è. Voglio fare anche un’altra precisazione. Le violenze della polizia, Bolzaneto e Diaz, non sono una ferita per Genova, ma per ogni essere umano. E i danni materiali della città non furono così rilevanti. Il Governo ci diede circa 15 miliardi di lire per risarcire e risarcimmo tutti, in particolare le aziende comunali per i cassonetti distrutti o i segnali stradali divelti, e non li spendemmo neppure tutti. Ce ne avanzarono 3 o 4 miliardi perché i danni erano molto limitati. Noi abbiamo avuto danni quasi analoghi nel caso della retrocessione del Genoa in serie C, quindi non furono rilevantissimi e riguardarono una parte specifica della città, dalla Foce fino a corso Sardegna. Genova col G8 è ritornata a essere parte del mondo, della modernità di quegli anni.
Quanto fu decisivo questo passaggio per gli anni futuri e per le ulteriori risorse che sono arrivate? Senza il G8 Genova sarebbe diventata Capitale europea della cultura nel 2004?
Forse ci saremmo riusciti lo stesso, ma col G8 abbiamo anticipato alcuni interventi che avevamo in programma di fare nel 2004. Non dobbiamo dimenticare che in quegli anni, nel 1996-97, la disoccupazione a Genova era altissima, chiudevano le fabbriche perché c’erano stati mutamenti nella tecnologia produttiva, e questa situazione sociale era difficile. Ci sentivamo emarginati, in una fase di decadenza che sembrava senza uscita. Il G8 ci riportò all’attenzione e si consentì di iniziare un processo di rinnovamento che poi diede vita a un’altra fonte di ricchezza, l’economia turistica. L’immagine della città prima del G8 era quella di una città fumosa, insicura, con un traffico impossibile. Col G8 cominciammo a sistemare alcune parti della città e poi proseguimmo negli anni successivi.
Lei ha mai avuto l’impressione che ci fosse una strategia predefinita perché tutto andasse così com’è andato?
Questa teoria ha un minimo di fondamento, quantomeno nei dati di fatto. Un successivo G8 fu fatto a Évians in Francia: la città venne totalmente isolata e i black bloc ruppero tutto quello che c’era da rompere a Ginevra. E addirittura lo Stato francese diede un indennizzo alla Svizzera. Si ha in qualche caso la sensazione che in queste manifestazioni, al fine di evitare vicende tragiche come quella di Carlo Giuliani, la polizia lasci libero spazio ai casseur, i black bloc, in modo tale da riparare facilmente i danni materiali e lasciare uno spazio senza volerlo impedire.
C’è qualcosa che lei ritiene di avere sbagliato come sindaco?
Mi vengono in mente un sacco di cose. Sicuramente ascrivo a mia colpa di non essere stato molto più pressante sul Governo per capire come veniva delimitata la zona rossa. Io ero convinto che ci sarebbero state delle barriere minime, invece arrivarono delle barriere paurose. Avrei dovuto pretendere di saperlo prima, invece le vidi quando erano piazzate. Nella vita di ciascuno di noi gli errori sono tanti, uno che fa il sindaco ne fa più degli altri.
Qual è stato il momento più brutto di quei giorni?
C’è un momento che ricordo sempre. C’era l’assedio alle griglie. Mi giungevano notizie di rotture dei black bloc in piazza Paolo da Novi. Io cercai di indurre i manifestanti in piazza Dante a rinunciare all’assedio per consentire alle forze dell’ordine di andare a porre rimedio alle devastazioni. Ottenni un risultato positivo. Quando avevo parlato col megafono di fronte alla Banca d’Italia, mentre mi allontanavo mi giunse la notizia della morte di Carlo Giuliani. Mi recai a piedi in prefettura. C’era il presidente Ciampi, parlai con lui di questo e anche lui era molto addolorato. Questo è un momento che rimane drammaticamente presente.
Al di là dei processi che si sono tenuti, chi è responsabile di quella morte?
Non lo sappiamo. La responsabilità non è tanto della morte, secondo me, quanto dell’insieme. Non sappiamo come mai è stato consentito l’ingresso in città dei casseur, non sappiamo com’erano preparate le forze di polizia e i carabinieri per gestire questo fenomeno, non sappiamo se siano sopravvenuti ordini di comportamenti drammatici come quelli della Diaz e di Bolzaneto. Come Comune avevamo sempre chiesto una commissione d’inchiesta del Parlamento, perché le responsabilità che accerta il giudice penale sono quelle personali, del singolo agente o funzionario di polizia o del carabiniere che ha sparato uccidendo Carlo Giuliani, ma il perché tutto questo sia accaduto, se sia stato una casualità oppure ci fossero disegni preordinati, non lo sapremo. Questa inchiesta non fu mai decisa. Farla oggi non avrebbe senso. Oggi possiamo denunciare questo vuoto, che è un vuoto grave.
Perché il Comune non si è mai costituito parte civile nei processi sui fatti della Diaz e di Bolzaneto?
Io ho sempre rifiutato i gesti che non abbiano una base giuridica. Non c’erano i presupposti giuridici per una costituzione in parte civile che sarebbe stata rifiutata dal giudice. Io di professione ho fatto l’avvocato e i gesti eclatanti non mi sono mai piaciuti. La cosa fu particolarmente grave perché Rifondazione Comunista uscì dalla mia giunta e si spaccò.
C’è qualche sassolino che vuole togliersi dalla scarpa, a vent’anni di distanza?
La cosa che mi diede più fastidio fu l’impreparazione dei governi, non tanto del governo Berlusconi ma del governo precedente che non si era preparato bene. Ma è un sassolino che mi ero già tolto.