Pandemia e psiche

Dalla sindrome della capanna al languishing, l’allarme degli psicologi: “Indispensabile potenziare i servizi pubblici”

Per bambini e adolescenti "lo psicologo nelle scuole deve diventare strutturale e occorre rilanciare i consultori o studiare il modello francese prima che i disturbi si trasformino in patologie gravi"

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Genova. Dopo un anno e mezzo di pandemia molti italiani hanno modificato spontaneamente alcuni comportamenti quotidiani. Il 63,3% evita di prendere mezzi pubblici, oltre la metà non frequenta più negozi e bar; 7 persone su 10 hanno ridotto le uscite con altre persone e la stessa percentuale ha scelto di non vedere più amici e conoscenti dentro casa. A dirlo una ricerca della fondazione Italia In salute realizzata alla fine di marzo di quest’anno.

Dati che evidenziano come le persone abbiano una sorta di paura di tornare alla vita normale, un fenomeno che in parte si era visto anche la scorsa primavera-estate, dopo il lungo lockdown. “Si tratta della cosiddetta sindrome della capanna – spiega Donatella Fiaschi, presidente dell’ordine degli psicologi della Liguria – che rispetto al primo post lockdown nasce da paure diverse. L’anno scorso era concentrata sulla paura della malattia o di contagiare gli altri, questa volta la paura è soprattutto di riprendere in mano la propria vita, di vedere le persone dal vivo dopo mesi e mesi di videochiamate o conference call, come se di fossimo disabituati e avessimo paura di non ritrovare il mondo come era prima”.

Anche perché di normalità pre-covid, se mai ce ne sarà una, ancora non si può parlare: “Certo, è una situazione di pseudo-normalità che a volte crea blocchi e ansie ed è più facile tornare a casa e sentirsi solo lì davvero protetti e al sicuro, anche perché molte persone ancora non sono state vaccinate”.

Se queste ansie, che si accompagnano spesso a depressione, stress e disturbi del sonno, non sono per forza sintomo di una patologia, sono comunque segnali da non sottovalutare: “Tra il benessere e la patologia in senso stretto c’è una vasta zona che, avvicinandosi al polo della patologia, si caratterizza per chiare situazioni di disagio e malessere psicologico caratterizzati da mancanza di voglia di fare cose, assenza di prospettive. In gergo tecnico si parla di languishing, una sorta di languire, un osservare la vita dietro un vetro appannato” spiega Fiaschi.

“E’ uno stato di disagio di cui spesso le persone si vergognano, perché si sentono deboli e fragili, ma è uno stato che si può riconoscere e superare se si chiede aiuto. Non c’è nulla di cui vergognarsi perché è chiaro a tutti ormai che la pandemia ha avuto ripercussioni psicologiche su quasi tutti noi, quindi occorre accettare questo stato, ma ciò non significa tenerselo perché un supporto psicologico, che a volte può essere una semplice consulenza, aiuta le persone a trovare le risorse per superarlo”.

Per gli psicologi è stato ed è un anno di superlavoro: “E’ così – conferma Fiaschi – ma è altrettanto vero che molte persone non possono permettersi di rivolgersi a un privato ed è per questo che noi come ordine nazionale chiediamo di potenziare i servizi pubblici, dai consultori famigliari ai servizi per gli adulti perché le nostre competenze possono prevenire che le persone si ammalino gravemente trascurando i sintomi di un disagio che, come vediamo, può trasformarsi in patologia che può sfociare anche in episodi estremi”.

E questo vale per gli adulti così come per i più giovani, i bambini e gli adolescenti. “La Francia ha annunciato una nuova misura che prevede 10 visite gratuite dallo psicologo per bambini e ragazzi tra i 3 e i 17 anni – spiega la presidente dell’ordine ligure – noi siamo riusciti a ottenere i finanziamenti dal Miur per avere un servizio psicologico nelle scuole di 12 ore al mese, ma chiediamo che lo psicologo diventi strutturale all’interno delle scuole perché oggi noi possiamo parlare con i ragazzi che ce lo chiedono ma quando c’è la necessità di intraprendere un percorso dobbiamo indirizzarli ai consultori, che sono stati gravemente depotenziati”.

Intanto i dati sugli accessi ai pronto soccorso degli ospedali pediatrici parlano chiaro: i bambini hanno meno malattie fisiche, probabilmente anche grazie alle mascherine, ma i disturbi psicologici o psichiatrici sono notevolmente aumentati: “Stress, depressione, abuso di alcol, nei più piccoli si riscontra un aumento di disturbi psicosomatici. Se vogliamo aiutare i bambini e i ragazzi prima che questi disturbi si aggravino servono risorse per il servizio pubblico, all’interno delle scuole ma anche sul territorio oppure occorre studiare una qualche forma di convenzione con i privati sul modello francese”.

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