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Autostrade, gli azionisti di Atlantia pronti a dare il via libera all’acquisizione da parte di Cdp

Sono passati 22 anni dalla privatizzazione del 1999 e la firma dell'operazione potrebbe avvenire a fine giugno. Ma c'è chi non è convinto

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Liguria. Un passaggio importante e propedeutico a chiudere l’operazione di cessione a Cassa Depositi e prestiti che, 22 anni dopo la privatizzazione, riporterà Autostrade per l’Italia almeno parzialmente nelle mani dello Stato.

Quasi tre anni dopo la tragedia di Ponte Morandi, dopo l’apertura di numerose inchieste e un processo che deve ancora entrare nel vivo, oggi pomeriggio l’assemblea degli azionisti di Atlantia sono chiamati a dare il via libera alla cessione al consorzio formato da Cdp insieme ai fondi internazionli Blackstone e Macquarie.

Il voto favorevole è dato praticamente per scontato anche perché gli advisor a cui gli azionisti di Autostrade si sono rivolti per avere un parere sull’operazione hanno dato indicazioni che vanno decisamente nella direzione di accettare l’offerta: intanto perché le vicende giudiziarie hanno distratto risorse ad altre attività ma soprattutto perché non esistono trattative o pretendenti altrettanto credibili e solidi.

Ricordiamo che gli azionisti sono Edizione, la società della famiglia Benetton, che detiene il 30% delle quote. Poi la fondazione Crt, con il 5,5% mentre il resto è suddiviso tra vari fondi esterni. Per l’ok basta il voto a maggioranza.

L’offerta ha già avuto l’approvazione del cda. Il valore del 100% di Autostrade per l’Italia viene stimato in 9,1 miliardi. La ticking fee, ovvero la percentuale corrisposta per compensare i flussi di cassa tra la firma di un accordo e il closing, viene riconosciuta per un 2% all’anno sul prezzo dal primo gennaio 2021 alla fine dell’operazione. Il termine ultimo è fissato al marzo 2022 ma la firma dell’operazione potrebbe avvenire già a fine giugno.

C’è chi però non considera affatto conveniente, per le finanze pubbliche, questa trattativa. Secondo il comitato dei familiari delle vittime del crollo di ponte Morandi, infatti, il valore fissato per Aspi è troppo alto perché non tiene conto degli effetti sul capitale legati a un’eventuale condanna né del fatto che, secondo la loro tesi, i bilanci della società sono falsati da anni di gestione dei ricavi al ribasso sul fronte delle manutenzioni.

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