The new normal

Via l’obbligo dello smart working al 50% nella Pa, in Comune e Regione il ritorno in ufficio sarà graduale

Fino alla definizione del lavoro agile nel pubblico impiego gli enti avranno autonomia organizzativa. A Tursi lavorare da casa piace di più alle donne

Generico aprile 2021

Genova. C’è chi non vede l’ora di tornare a gustare “il caffé della macchinetta” insieme ai colleghi e chi, invece, proprio non se la sente di passare dalle riunioni su zoom senza videocamera attivata alla condivisione di un ufficio con altre persone. Da lunedì prossimo, in base al Dl Proroghe, tutti gli uffici pubblici torneranno a riempirsi di personale: salta infatti la soglia minima del 50% per lo smart working che, un anno fa, in pieno lockdown aveva visto in Italia 2 milioni di impiegati e addetti dei ministeri, di enti pubblici, Comuni e Regioni lavorare da casa (assieme ai 5 milioni del settore privato).

Questo non significa che lo smart working svanirà improvvisamente. Anzi. Per molti enti continuerà a essere sfruttato come un’opportunità. Ma fino alla definizione della disciplina del lavoro agile nei contratti collettivi del pubblico impiego ogni ente potrà organizzarsi in autonomia in base alle esigenze dei dipendenti e del funzionamento.

A Genova lo smart working – o lavoro agile – non era stato una novità introdotta per forza di cosa con il Covid. Già dopo l’agosto 2018, purtroppo, con il crollo del ponte Morandi e i giganteschi problemi di viabilità, diversi enti pubblici avevano iniziato a sperimentare la possibilità – per quegli uffici che potessero farlo – di organizzare il lavoro da casa. Da un certo punto di vista, quando a marzo 2020 è scattato il primo vero lockdown la macchina non era tutta da costruire ed è forse per questo che l’adesione è stata particolarmente alta.

Per quanto riguarda il Comune di Genova – in sostanza la più grande azienda cittadina con 4968 dipendenti a fine 2020, ma adesso sono anche di più – i lavoratori in smart erano a maggio scorso erano oltre 2800, oltre la metà del totale e comunque quasi tutti quelli che potevano farlo tenendo conto che per certe categorie – polizia locale, protezione civile, uscieri, operai, collaboratori scolastici – il lavoro da remoto non è possibile. In una divisione come quella dei sistemi informativi l’adesione era stata dell’80%.

“Adesso che cade l’obbligo del 50% – dice l’assessore al Personale del Comune di Genova, Giorgio Viale – ci sarà un ritorno graduale, ma in generale bisogna ricordare che, diversamente da come viene percepito. non sono i dipendenti a essere il 50% in smart working ma le attività che possono essere svolte in smart working”.

Al tempo la direzione personale aveva sottoposto ai dipendenti del Comune un questionario. “Tra gli aspetti più interessanti era emerso come lo smart working fosse nettamente più apprezzato dalle donne, che sono anche più digitalizzate, rispetto agli uomini, e che circa un 20% dei lavoratori non lo amava affatto”.

D’altronde uno dei problemi che si sono verificati, nel passaggio repentino al lavoro da casa, per alcuni, è stato il cosiddetto gap digitale. Un conto è lavorare con una connessione rapida, una postazione-ufficio e magari senza elementi di “disturbo”, un altro conto è dover condividere modem, scrivanie e tempo con figli in dad o comunque chiusi in casa. Inoltre inizialmente il Comune non era stato in grado di acquistare tablet e pc per chi ne avesse bisogno.

La tecnologia per adesso continuerà a supportare le attività politiche dell’amministrazione. Il consiglio comunale è in presenza ma con la possibilità di partecipare e votare da remoto, per chi lo desidera, resterà in forma mista. Le commissioni consiliari resteranno sulla piattaforma Webex Cisco fino almeno al 31 luglio.

In Regione Liguria i dipendenti, compresi direttori e dirigenti, che dall’inizio dell’emergenza coronavirus hanno portato avanti il loro lavoro in WFH (work from home) sono arrivati a essere circa 1200, l’80% del totale. Questo dà anche il metro di come il lavoro degli uffici regionali sia molto meno a contatto con il pubblico di quelli comunali. La presenza fisica del personale nelle diverse sedi era stata ridotta ad alcune attività essenziali per il governo regionale e per la stessa gestione dell’emergenza. Prima dell’avvento del Covid erano stati appena un centinaio i dipendenti che avevano aderito allo smart working, per loro necessità.

La larga maggioranza dei dipendenti regionali, fino all’estate scorsa, ha lavorato da casa cinque giorni su cinque. Tutti i dipendenti sono collegati in Vdi/Vpn, in questo modo da qualunque personal computer, con le proprie credenziali possono accedere via web all’ambiente di lavoro come se fossero in ufficio. Oltre a questo si è fatto uso frequente delle applicazioni di videoconferenza.

L’assessore regionale al Personale Simona Ferro fa il punto: “Il decreto è molto recente e dobbiamo fare un incontro con il direttore personale per metabolizzare quelle che sono le novità – spiega – quello che è certo è che se da un lato è giusto che anche il personale del pubblico impiego torni alla normalità, dall’altro non butteremo via quella che è stata un’esperienza anche positiva”.

Insomma lo smart working in Regione Liguria non scomparirà. “Già in questo periodo è stato possibile utilizzato da parte dei dipendenti con fragilità, quelli con persone malate a casa, dai 2 ai 5 giorni alla settimana, eliminando le misure limitative più drastiche ma mantenendolo in base alle esigenze. D’altronde abbiamo imparato un sistema di lavoro che in alcuni casi si è rivelato vincente, in altri casi meno ottimizzato, per esempio nel caso in cui dipendenti madri dovevano gestire anche figli e famiglia si è rivelata una commistione non positiva, ma sicuramente faremo tesoro dell’esperienza”.

Anche in Camera di Commercio è altissima la percentuale che nel periodo della pandemia ha lavorato in smart working: un anno fa è stato toccato il picco di 90 dipendenti su 100 a casa ma da inizio giugno il personale è rientrato gradualmente per garantire almeno una persona per servizio. Anche in questo caso, quindi, non ci sarà un cambio repentino delle abitudini.

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