Riabilitazione

Psicologa, cyclette e pesi: alla Fiumara il team che fa tornare a vivere i reduci del Covid fotogallery

Il direttore Pietro Clavario: "Polmoni e cuore tornano praticamente come prima ma ci vuole tempo e sudore"

In palestra dopo il Covid: alla Fiumara il centro per tornare a vivere

Genova. Clever, il labrador cane guida di Caterina sta comodamente sdraiato sul pavimento mentre la sua padrona pedala sulla cyclette: “Quando gli viene tolta la pettorina si sente un po’ in ferie – racconta un’infermiera – se ne va in giro cercando qualcuno che gli dia la focaccia o un amaretto, il suo snack preferito”. Intorno a lui, i pazienti lavorano concentrati alle macchine con i pesi, sulle bici o sul tapis roulant. Medici e infermieri li seguono, impostano gli allenamenti e scherzano e incoraggiano i loro speciali ‘atleti’ .

Siamo al centro di riabilitazione per pazienti Covid allestito dalla Asl3 alla Fiumara. E’ partito un anno fa, primo in Italia a realizzare un progetto di follow-up a tutto tondo.

“E’ come essere in una grande famiglia e questo mi sta aiutando tantissimo” dice Sagitta mentre fatica alle macchine per rinforzare la muscolatura delle gambe. Non vuole parlare del Covid e solo al ricordo di quello che ha passato le trema la voce. “A me il Covid ha colpito il sistema neurologico – dice – avevo spasmi muscolari e dolori molto forti. Grazie a questo centro sono stata seguita da un neurologo e anche dalla psicologa perché è stato molto pesante: una volta che sei negativa al lavoro e in famiglia ti senti in dovere di stare bene e hai l’impressione che se dici come ti senti davvero gli altri pensino che stai esagerando. Ora va molto meglio, non solo grazie alle terapie a alla ginnastica ma anche grazie al fatto che qui ti senti in un gruppo”.

In palestra dopo il Covid: alla Fiumara il centro per tornare a vivere
Clever si fa coccolare mentre i pazienti si allenano

Accanto a lei c’è Silvana. Come Sagitta e come tutti i pazienti che si stanno allenando in palestra, si è ammalata a ottobre. Silvana fa l’infermiera: anche lei è alle prese con i macchinari: “Aspetta che guardo se ho anche il fiato per parlare” dice. Il fiato ce l’ha anche se un po’ di affanno non manca: “Va molto meglio – spiega – i primi tempi non riuscivo nemmeno a fare pochi passi. Sono al terzo mese di riabilitazione perché ho avuto problemi di pressione e ho dovuto rimodulare il farmaco. Adesso sembra che la pressione vada bene e potrò fare anche l’ultima prova sotto sforzo”.

Anche Paola è un’infermiera, lavora al pre-triage del pronto soccorso dell’ospedale Villa Scassi. Il Covid se lo è preso a metà ottobre: “Ho passato indenne la prima ondata ma alla seconda mi è toccata una polmonite bilaterale con l’aggravante di una pericardite con versamento. Ho provato a rientrare a lavorare tre settimane ma non ce la facevo e ora sono qui perché avevo sempre affanno e dolore al petto”. Dopo un mese di riabilitazione e le cure parallele del neurologo per i dolori alle gambe “va meglio anche se a volte ancora non riesco a finire le frasi senza affanno”. Come le altre pazienti è contenta di essere stata chiamata e di poter essere seguita dall’equipe diretta da Pietro Clavario: “Qui sono splendidi, i medici come le colleghe infermiere. Ti rivoltano come un calzino e finalmente comincio a vedere la luce in fondo al tunnel”.

Stefano sta pedalando sulla cyclette. “A ottobre ho rischiato di morire – racconta – e ho vissuto anche il momento peggiore al villa Scassi, quello delle 95 barelle in attesa, una era la mia. E’ stato molto pesante perché oltre a dover gestire il tracollo della malattia in quel momento cercavi un’accoglienza che l’ospedale non era in grado di darti. Fisicamente è stata durissima: il Covid a me ha attaccato prevalentemente il sistema vascolare così mi sono ritrovato con le gambe sotto il ginocchio prevalentemente nere quasi setticemiche. Qui con il linfodrenaggio manuale i macchinari e anche il supporto della psicologa sono migliorato molto ma soprattutto in questo centro ho visto rimettere il paziente al centro e questo per me è fondamentale”.

E’ un lavoro di squadra perfettamente coordinato quello che svolgono i medici e le infermiere che compongono il team messo insieme da Pietro Clavario. L’idea l’ha avuta lui “subito condivisa dal direttore generale Bottaro e da tutti i direttori di specialità” ci tiene a sottolineare il primario. Il centro è nato per la riabilitazioni dei pazienti cardiopatici ma con la pandemia la palestra ha chiuso. “Ora stiamo vaccinando i nostri pazienti storici e presto anche lui potranno tonare ad allenarsi – dice il medico – ma nel frattempo abbiamo pensato che questo posto potesse essere utile a quanti devono affrontare le conseguenze fisiche della malattia di coronavirus”. Ad essere chiamati dal centro per una valutazione sono i pazienti che sono stati ricoverati in una struttura della Asl3 per Covid e sono stati dimessi con una diagnosi di polmonite.

“Dall’anno scorso ne abbiamo chiamati oltre 250 – racconta il primario – un primo colloquio telefonico anche con la nostra psicologa e poi l’invito a venire qui per eseguire una serie di test funzionali”. Il lavoro è complesso perché in base alle prime valutazioni i pazienti possono essere anche indirizzati ad altri specialisti, dal reumatologo al neurologo allo pneumologo: “Poi quelli che a livello fisico hanno una capacità funzionale ridotta li seguiamo direttamente qui facendoli allenare tre volte a settimana”.

Chi esce dalla malattia spesso fatica a parlare, a camminare e il ritorno al lavoro anche settimane dopo la negativizzazione è una chimera, così come tornare a correre o fare sport. E questo non vale solo per chi è stato intubato: “Una delle cose che abbiamo capito in questo anno di pandemia vedendo tanti pazienti è che gli strascichi non sono direttamente correlati alla gravità della fase acuta quindi un paziente può non aver avuto bisogno di ossigeno e ora riesce nemmeno a fare le scale di casa. L’altra cosa che abbiamo imparato è che al contrario di quanto temevamo all’inizio se un paziente supera la fase acuta della polmonite, poi i polmoni e il cuore riprendono la loro funzionalità quasi completamente. Ma ci vuole tempo e sudore e anche per questo li aiutiamo qui. Chi si ritrova dopo il covid con 8 chili in meno e l’incapacità di camminare senza affanno non pensa di riuscire a tornare come prima per non parlare degli sportivi che pensano che non potranno tornare a correre o ad andare in bici. Qui li aiutiamo a capire che con il tempo e l’allenamento potranno tornare a fare quello che facevano prima”. Il percorso dura due o tre mesi: “E’ il tempo necessario a seconda delle condizioni iniziali in cui li troviamo per il recupero funzionale, poi possono proseguire ad allenarsi autonomamente perché capiscono che possono farcela”.

Il team è composto da tre cardiologi (compreso il primario), tre infermiere, un fisioterapista e una psicologa, figura fondamentale perché le conseguenze fisiche sono spesso accompagnate da disturbi psichici: dall’ansia alla depressione al disturbo post traumatico da stress. “Li vedo tutti almeno una volta – spiega Marta Ferraris, la psicologa del gruppo – e cerco di fare una prima diagnosi attraverso una serie di test. Il punto è anzitutto capire se si tratta di persone che hanno necessità di tipo farmacologico o hanno bisogno di sostegni importanti che vengono di conseguenza inviate ai servizi di salute mentale. In alcuni casi infatti questo evento è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso ma dietro c’era già un quadro importante. In altri casi seguo io i pazienti con un numero limitato di colloqui, otto in tutto: con alcuni utilizzo la tecnica dell’Emdr che consente di rielaborare il trauma, altrimenti faccio una serie di colloqui di sostegno che spesso sono sufficienti a far metabolizzare l’evento perché magari non hanno mai avuto uno spazio in famiglia dove poter parlare”.

Tra i sintomi che vengono spesso descritti dai pazienti ci sono la perdita di memoria e la difficoltà a concentrarsi: “Per queste situazione c’è una collaborazione in sinergia con neurologia perché occorre capire se si tratta davvero una conseguenza neurologica del covid oppure dovuta ad ansia o stress. Così abbiamo deciso che prima di inviarli a fare una visita specialistica in neurologia affronto la fase di colloqui perché a volte questi sintomi si risolvono da soli in poche sedute. Fondamentale resta la condivisione e il gruppo che si forma tra i pazienti che hanno la possibilità di stare insieme, condividere le ansie e le paure e si sentono meno soli. Questo è un aspetto fondamentale per il percorso di guarigione”.

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