Genova. Un permesso di ricerca su oltre 8 mila ettari sui monti e i boschi delle valli Graveglia, Petronio, Gromolo e Vara per sondare quanti metalli preziosi ancora giacciono nel cuore delle montagne tra Genova e La Spezia, e, nel caso, ipotizzare la riapertura delle attività di scavo in miniere vecchie e nuove. Una situazione simile a quello che sta succedendo sul Beigua, e che sta infiammando l’opinione pubblica.
Questo il progetto di ‘Ricerca mineraria del Monte Bianco‘, presentato dalla società Energia Minerals, una compagnia italiana, con sede legale in Torino, controllata interamente dalla australiana Alta Zinc Ltd, specializzata nello scavo di metalli di pregio per il sempre più affamato mercato delle materie prime legate alle tecnologie smart e alla mobilità elettrica. Una proposta, la cui valutazione d’impatto ambientale è al vaglio presso il Ministero dell’Ambiente, oggi ridenominato “Per la transizione ecologica”, e che fra pochi giorni terminerà il suo iter per le eventuali annotazioni pubbliche.
L’area interessata dalla ricerca è molto vasta e interseca i territori dei comuni di Sestri Levante, Né, Casarza Ligure e Castiglione Chiavarese: non si scaverà in questa fase, viene sottolineato nel progetto, ma si partirà da una valutazione “storica” delle vecchie miniere, circa una decina, già presenti nell’area, a cui si aggiungeranno campioni di rocce affioranti, acque dei torrenti e sondaggi elettromagnetici capaci di fornire una “ecografia” delle rocce in profondità. Tutto è partito dall’analisi della letteratura legata agli storici delle attività estrattive della zona, che hanno presentato valori di concentrazione e purezza dei metalli tali da attirare gli appetiti della multinazionale australiana, già protagonista di una stagione di scavo a Furtei, in Sardegna: una stagione breve ma intensa, che ha lasciato non pochi strascichi ambientali e sociali sul territorio. Sono tanti gli elementi chimici nel mirino della Energia Minerals, tra cui oro, argento, rame, zinco, manganese, rutilio, alluminio e titanio.
La notizia ha già messo in allarme comuni e cittadini delle aree interessate: in questi 8243 ettari ricadono infatti una porzione del Parco dell’Aveto e almeno tre zone speciali di conservazione, così definite dalla direttiva europea “Habitat” che individua le aree destinate alla conservazione della diversità biologica presente nel territorio dell’Unione Europea. Ma non solo: i monti potenzialmente interessati dalle attività di cava, nel caso si passasse dalle carte alle pale, caratterizzano il paesaggio di tutta la costa del Levante, paesaggio la cui integrità potrebbe essere quindi a serio rischio, nonostante gli ultimi decenni di sforzi nelle tutele e nelle valorizzazioni ambientali. Senza dimenticare il turismo: tra le miniere che potrebbero essere riattivate c’è quella di Gambatesa, uno dei siti maggiormente attrattivi a livello turistico di tutta la Liguria.
“Questo territorio, che costituisce nell’insieme un’area pregevole dal punto di vista ambientale, è vocato ormai da anni a uno sviluppo economico basato principalmente sull’accoglienza turistica, sulla ricettività, sull’eno-gastronomia e su una produzione agricola di prodotti tipici sempre più orientata verso la sostenibilità e il biologico, con eccellenze riconosciute a livello internazionale – si legge nel testo della petizione on line lanciata pochi giorni fa dal Comitato spontaneo ʺNo a nuove miniere nelle Valli del Levanteʺ – È di tutta evidenza come un permesso di ricerca mineraria costituisca il primo passo per arrivare all’ottenimento di una concessione mineraria utile a riprendere l’attività estrattiva di minerali metalliferi. Con questa petizione esprimiamo sin d’ora la più netta e decisa contrarietà ad attività di prospezione e di estrazione mineraria nelle Valli Graveglia, Gromolo, Petronio e Vara e chiediamo agli amministratori regionali e locali di impegnarsi attivamente e in ogni modo per rappresentare la volontà dei cittadini residenti e per tutelare il patrimonio economico, culturale e ambientale nel quale essi vivono e producono, nonché di prodigarsi per scongiurare un ritorno delle nostre terre a un passato oggi non riproponibile in considerazione del valore degli ecosistemi, delle caratteristiche geomorfologiche dei luoghi e del modello di sviluppo locale”.
Già, le istituzioni. A indicare un possibile futuro di questa ricerca, ancora al vaglio degli uffici ministeriale e che secondo il progetto potrebbe durare tre anni con un costo di oltre 250 mila euro, potrebbe esserci il ‘nulla osta’ espresso dal neo ministro Cingolani sulle ricerche recentemente approvate da Regione Liguria per il titanio contenuto nelle viscere del Beigua e delle montagne limitrofe, via libera accordato perché le operazioni in questa fase saranno “non invasive ma solo conoscitive”, esattamente come per le val Graveglia e Petronio, e il sistema del monte Bianco, la cima che svetta su quelle vallate verdi. Almeno fino ad oggi.