Arenzano. Con la sua stazza lorda da 230.000 tonnellate, i suoi 350 metri di lunghezza ed i 50 di altezza (cioè come un palazzo di venti piani) è il relitto visitabile più grande del Mediterraneo. Stiamo parlando della Amoco Milford Haven, la super-petroliera, conosciuta più semplicemente come Haven, che affondando 30 anni fa davanti alle coste di Arenzano ha causato il più grande disastro ambientale mai avvenuto nel Mediterraneo e la morte di cinque persone.
Salpata ai primi di aprile del 1991 dall’Iran, aveva imbarcato petrolio nelle cisterne, riempite a metà. Carico ridotto. La mattina del 9 aprile giunse nella rada del porto di Genova, calando gli ormeggi. Nella tarda mattinata di due giorni più tardi, un’operazione di travaso da una stiva all’altra, causò un’imprevista e improvvisa esplosione. La nave, che si trovava all’altezza di Multedo, andò alla deriva.
Già nel 1988 la petroliera, battente bandiera cipriota, aveva subito un consistente danno strutturale. Era stata infatti colpita nel golfo Persico da un missile sparato da una nave da guerra iraniana, riportando gravi danni allo scafo. Riparata fino al 1990 nei cantieri navali di Singapore, se la cavò.
A mezzogiorno e mezzo il capitano greco della Haven Petros Grigorakasis lanciò il “mayday-mayday”, segnale di emergenza. Dal porto di Genova partì una pilotina, guidata dal comandante Giancarlo Cerruti. Grigorakasis, resosi subito conto della gravità della situazione, invocava il salvataggio con gli elicotteri, cercando in tutti i modi di organizzare un piano di evacuazione rimanendo, nel mentre, in costante contatto radio con gli operatori.
Quando la pilotina giunse in prossimità della poppa della Haven, una seconda esplosione sventrò la prua, lanciando detriti e lapilli in ogni direzione. In quell’istante le comunicazioni si interruppero. Il comandante cessò di parlare, ucciso da un pezzo di lamiera rovente staccatasi nella deflagrazione. L’incendio divampò, formando una colonna di fumo nero alta svariate centinaia di metri, ben visibile da terra.
Nelle concitate operazioni dei rimorchiatori, nel tentativo disperato di arenare la nave, la prua si staccò e precipitò a una profondità di 450 metri. Le condizioni meteo favorevoli e gli interventi della Marina militare Italiana, coordinata dall’ammiraglio Antonio Alati, grazie a barriere di contenimento, permisero di arginare la portata del disastro.
Con le pompe si cercò di estrarre più contenuto possibile dalle stive. Una parte del catrame, arrivò sulla costa, depositandosi lungo il bagnasciuga. Bruciarono oltre 100.000 tonnellate di greggio, il più grande disastro ambientale mai avvenuto nel mare Mediterraneo. Una parte del petrolio, nelle sua composizione densa, è ancora sedimentato sui fondali antistanti, tra Savona e Genova.
Assieme al comandante morirono altri quattro membri dell’equipaggio: Ioannis Dafnis, Domingo Taller, Gregorio Celda e Serapion Tubonggan.
La nave si inabissò il pomeriggio del 14 aprile, a tre giorni dal naufragio, dopo un’ennesima esplosione interna, causata dell’ininterrotto ardere delle fiamme. Posizione, un miglio e mezzo marino di fronte alle coste di Arenzano.
La chiglia è oggi adagiata sul fondale, a circa 80 metri di profondità. A 35 metri dallo specchio d’acqua, segnalata da dei gavitelli, si erge la plancia il ponte di comando. La cui estremità è stata mozzata, onde evitare rischi al transito delle imbarcazioni a più ampio pescaggio. Al suo interno, nel 2001, venne collocata una statuetta di un bambino Gesù. Nella ricorrenza dei dieci anni dal disastro.
Nell’area della nave si è sviluppata invece nei decenni una rigogliosa colonia faunistica, ambita mèta di molti subacquei. In rapporto alla numerosissime immersioni, negli anni sono anche accorsi alcuni incidenti mortali. Dalle prime ispezioni del relitto, 15 persone hanno perso la vita. In particolare nel periodo recente, si sono susseguiti diversi casi. Dal 2015 a oggi, sono infatti 6 le persone decedute. Da qui, una sinistra leggenda mediatica alimentata su una presunta “Maledizione della Haven”. Statistica comunque irrisoria, rispetto alla frequenza complessiva delle esplorazioni