L'intervista

Tra appelli infiniti, lezioni rovesciate e “Ragazzi, le telecamere!”: la vita scolastica ai tempi della dad

L'insegnante-scrittrice Chiara Ferraris racconta con serissima ironia come la pandemia ha cambiato gli studenti ma anche i professori

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Genova. “La cellula spiegata in cinque minuti”? Si può fare, anzi, si deve, visto che con la didattica a distanza, fra appello degli studenti (che non rispondono al volo adducendo i motivi più disparati: “X non può entrare perché il gatto gli ha rotto il pc”,”Y?”, “Ora arriva è crashato”) connessioni che cadono, telecamere spente e ‘scuse’ varie per perdere ancora quei cinque minuti, una lezione di un’ora vola via quasi prima di cominciare. Chiara Ferraris, giovane insegnante di scienze all’istituto tecnico Gastaldi-Abba di Genova, ci prova a usare meglio il tempo a disposizione e, da scrittrice qual è, racconta sulla sua pagina Facebook in maniera a volte esilarante a volte serissima come funziona in concreto la Dad.

– Ma quindi com’è lavorare in dad?
La dad è oggettivamente molto faticosa, è un un modo di insegnare molto diverso perché mancano alcuni aspetti fondamentali come la relazione diretta con gli studenti e la gestualità quindi bisogna attrezzarsi e aiutare gli stessi studenti che saranno anche nativi digitali che sanno utilizzare benissimo ogni nuova app ma poi scopri che non sanno usare le mail o creare un account

– Un bello choc all’inizio anche per gli insegnanti meno avvezzi…
Nella mia scuola siamo stati fortunati perché già prima della pandemia avevamo un gruppo di docenti che si occupava di gestire la Google Suite e in pochissimo giorni abbiamo attivato tutti gli account e siamo partiti. Ovviamente i primi tempi anche tra insegnanti ci sentivamo e ci aiutavamo per capire come utilizzare la piattaforma, così come per i devices: ai ragazzi che non li avevano li ha forniti la scuola.

– Partiti subito, e poi?
“L’anno scorso dal punto di vista didattico all’inizio anche noi insegnanti eravamo un po’ impreparati perché la dad è una bella rivoluzione nel nostro modo di insegnare che ti costringe a cambiare il modo di far lezione e anche la valutazione dei ragazzi.

– Tenere alto il livello di attenzione non sarà facile…
No. L’attenzione non è facilissima da tenere perché molti ragazzi non amano far lezione in questo modo e si distraggono facilmente. Siamo passati in questo anno dal classico casino dell’aula scolastica in cui devi dire ‘State un po’ zitti!’ al silenzio lunare della dad. Così io spiego un po’ e poi mi tocca chiamarli per nome cercando di attivarli, di svegliarli. Allo stesso modo cambia un po’ anche la didattica: io utilizzo molto le lezioni rovesciate: dove assegno un tema e son loro che devono spiegarlo al resto della classe. Oppure uso moltissimo le ricerche perché ho scoperto che i ragazzi si limitano spesso ai copia e incolla e invece oggi davanti a un pc tutto il giorno possono sfruttare il mezzo se assegni loro delle ricerche ben strutturate. O, ancora, con i ragazzi delle prime, a cui insegno scienze della terra, utilizziamo moltissimo ‘Google Earth’ e ci scherziamo sopra: ‘Prof oggi andiamo a fare un po’ un viaggio?’

– Come si fa per i voti?
E’ un bel casino perché ovviamente è difficile evitare che copino, lo avremmo fatto anche noi se avessimo avuto la possibilità. Quindi la valutazione passa per un mix tra quiz, domande durante le lezioni, valutazioni di tanti aspetti. Certo, oggi anche dare un brutto voto è diverso e più pesante: prima potevi prendere un studente da parte, guardarlo in faccia e chiedergli cosa per lui non aveva funzionato ora tutto questo lo fai chiedendogli di accendere la telecamera e non è la stessa cosa.

– Quanto soffrono i ragazzi in questa situazione?
L’anno scorso è stato duro, per tutti anche perché c’era un lockdown vero. Ora va un po’ meglio perché sono un po’ più liberi. Poi ci sono ragazzi che amano l’ambiente casalingo e quindi si trovano bene, altri che la stanno patendo molto in termini di entusiasmo e voglia di fare perché per la maggior parte di loro le relazioni sociali che instauri a scuola solo le più importanti. E nei rari momenti in cui siamo tornati a scuola li ho visti più sorridenti e contenti di esserci. E non sempre a distanza riesci a cogliere uno sguardo o uno stato d’animo, a capire come si rapportano tra di loro. Mi è capitato con le classi dei più piccoli che a causa del lockdown ho conosciuto: quando li ho visti dal ‘vivo’ mi sono accorta che non avevo capito delle cose di loro e questo mi dispiace molto.

– La scuola in presenza manca anche a voi insegnanti?
A me personalmente manca tantissimo: trovo molto pesante non uscire di casa per andare a scuola, non vedere i miei colleghi e non vedere i ragazzi, ma la decisione tra la dad e il rientro a scuola non compete a noi e sono consapevole che la salute è la cosa più importante. Quello che chiediamo, e proprio dalla mia scuola un paio di mesi fa è partito un appello in questo senso, è un po’ di programmazione sui tempi: non possiamo riprogrammarci ogni volta di settimana in settimana e anche se a scuola ci vorrei tornare domani dico piuttosto che possiamo andare avanti così fino a fine anno scolastico ma a settembre dobbiamo arrivarci preparati per ripartire davvero.

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