Genova. Protesta a Genova nel primo giorno di chiusura delle scuole superiori, decisa meno di 48 fa da dal presidente della Regione Liguria Giovanni Toti come misura per contenere i contagi fra gli under19.
Il presidio a dire il vero era stato deciso dei giorni scorsi nell’ambito dello sciopero generale indetto da diverse categorie per la ricorrenza della ‘Festa della donna’, contro discriminazioni di genere e inadeguatezza della proposta formativa, ma in queste ore si è ulteriormente allargata per ribadire il no alla didattica a distanza.
Le questioni sul tavolo sono tante. Solo per rimanere sul tema scuola si va dal no alle classi pollaio, alla stabilizzazione dei precari ai fondi per la scuola stanziati nel ricoveri plan giudicati assolutamente insufficienti, alla pesante ricaduta sulle famiglie e sul lavoro delle donne della gestione scuola di questo anno di pandemia. A lanciare l’iniziativa ‘Insegno collettivo docenti Genova e provincia‘, ‘Non una di meno Genova‘, ‘Rete e’ già settembre‘, ‘Collettivo studentesco Come Studio‘, Sindacato intercategoriale Si cobas” e “Cobas Scuola“.
“Come riporta il nostro striscione diciamo basta alle classi pollaio perché se i problema del sovraffollamento delle classi è venuto alla luca solo con la pandemia perché connesso con il rischio contagi ma è un problema che esiste da sempre. Noi docenti dobbiamo cercare di personalizzare la didattica in base ai ragazzi e in classi di 25-30 studenti non è possibile” dice Michela, docente precaria del collettivo InSegno.
“Servono investimenti nelle aule, nei docenti, nel personale amministrativo e serve essere meno in classe per poter svolgere in presenza attività didattica” rocrda la sua collega Roberta. Anche perché dopo un anno tra lockdown e didattica a distanza le conseguenze sull’istruzione e anche sulla formazione delle giovani generazioni si sta facendo pesantemente sentire: “C’è un tasso molto alto di abbandono scolastico – spiegano le insegnanti – e il peso di quello che è accaduto alla scuola lo vediamo ogni giorno a scuola. Pesa sull’educazione, sulla capacità dei ragazzi di stare insieme nel capire che la scuola non è semplicemente nozione ma è relazione e quello che stiamo vedendo è che i ragazzi non sanno stare più insieme – racconta Roberta – non riescono più a capire cosa vuol dire condivisione perché come ha scritto Fabio Geda in un bellissimo libro la scuola è un posto dove si crea l’amicizia e poi dall’amicizia parte la conoscenza. Se perdiamo l’amicizia perdiamo anche una scuola capace di fare la differenza
Oggi siamo in piazza perché per noi femministe la scuola è un luogo cruciale per scardinare i meccanismi patriarcali che alla fine portano alla violenza sulle donne e ai femminicidi – dice Ariela Iacometti di Non una di meno – La violenza di genere è sicuramente anche un problema culturale oltre a essere un problema di tipo economico e sociale e la scuola dovrebbe essere quel posto dove si trasforma la società anche in realtà in questo ultimo anno la scuola ha completamente abdicato al suo ruolo di trasformazione sociale e nel migliore dei casi è diventata un posto dove si trasmettono nozioni”.
Rispetto alla chiusura delle scuole superiori nonostante la Liguria sia in zona gialla le femministe di Non Una di Meno sono nette: “Scuole chiuse mentre tutte le attività commerciali sono aperta…Questo ci fa molto arrabbiare perché è un atto di disprezzo verso il mondo della scuola e verso gli studenti che non può passare sotto silenzio”.
In piazza anche i sindacati di base Cobas e il Si Cobas: “Abbiamo colto lo stimolo da parte del collettivo insegnanti a scegliere questo come simbolo della giornata di oggi – dica Anna Maria Rosaspini – non solo per quello che rappresenta in assoluto la scuola e tutte le problematiche che ci sono dentro ma soprattutto per quello che rappresenta in questo periodo non solo per la condizione delle lavoratrici ma anche delle madri che si ritrovano aumentato il lavoro di cura a casa e questo è un ulteriore problema”