Genova. L’appuntamento è fissato a Campi presso il centro Amazon per due presidi di protesta tra le ore 7 e le ore 17 di lunedì 22 marzo. E per sostenere le rivendicazioni delle lavoratrici e dei lavoratori della filiera Amazon, Filt Cgil Fit Cisl Uil Trasporti hanno indetto una prima giornata di sciopero di tutto il personale dipendente di Amazon Logistica Italia e di tutte le società di fornitura di servizi di logistica, movimentazione e distribuzione delle merci che operano per il gruppo.
A Genova a incrociare le braccia saranno circa 300 driver che lavorano per le società Bs Trasporti, L&D S.r.l e Jet Express S.r.l per la filiera Amazon, aziende che raccolgono moltissimi giovani con contratti di lavoro precari imposti da Amazon per tenere i lavoratori in condizioni di grande soggezione. I ritmi imposti sono particolarmente gravosi.
“Ci sono tantissimi giovani – spiega Marco Gallo della segreteria Filt Cgil – e diverse donne, la maggior parte con contratto a tempo indeterminato anche se non mancano i lavoratori da tempo determinato e i lavoratori interinali. Ora abbiamo saputo che dal primo aprile Amazon affiderà parte del lavoro a una quarta azienda”.
A differenza dei driver che lavorano per Bartolini, Sda, Tnt eccc chi lavora per Amazon ha il vantaggio di non dover avere a che fare ogni giorno con pesi insostenibili e carichi ingombranti, “ma dal punto di vista della pressione psicologica le condizioni sono molto peggiori – spiega Gallo – basti pensare all’orario pressoché scientifico in cui devono essere fatte le consegne con i percorsi decisi dalla stessa Amazon”. Spesso alle prime armi e costretti a correre, non mancano gli incidenti con i danni ai mezzi che ricadono sulle spalle dei driver: “Capita che un corriere che magari guadagna 1500 euro al mese si ritrovi trattenute anche sopra i mille euro lavorando praticamente gratis per un errore commesso quando Amazon ha un’assicurazione Casco, per questo chiediamo che queste franchigie siano regolamentate”.
I sindacati genovesi che avevano chiesto un tavolo ad Assoespressi si sono visti rimandare la questione a un tavolo nazionale: “Ci hanno spiegato che avevano vertenze in diverse Regione e quindi preferivano affrontare la questione su un unico tavolo. Peccato che dopo un primo incontro interlocutorio, non appena nel secondo abbiamo cominciato a esporre le nostre richieste abbiamo trovato un muro”. Da qui la giornata di mobilitazione in tutta Italia che provocherà forse per la prima volta nel nostro Paese un ritardo nelle consegne di buste e pacchi.
“Da subito Amazon ha palesato la sua indisponibilità a trattare con il sindacato, demandando l’eventuale trattativa ad un’associazione datoriale che avrebbe dovuto rappresentare tutti i fornitori di Amazon – spiega Giovanni Ciaccio, coordinatore regionale logistica e trasporto merci Uiltrasporti – Purtroppo dopo solo due riunioni si è interrotta la trattativa. Eppure, il negoziato è continuato con gli altri colossi delle e-commerce, fino a giungere alla firma del primo accordo storico con i committenti, un protocollo che regolamenta retribuzioni, orari di lavoro e franchigie dei dipendenti dei fornitori”.
Amazon ha cercato in tutti i modi di evitare la trattativa prediligendo quella nazionale, ma in alcune regioni il colosso ha firmato accordi inferiori del 30% e oltre il valore economico dell’accordo quadro ligure. Interrotta anche la trattativa nazionale è stato proclamato uno sciopero nazionale.
Solidarietà anche da Rifondazione Comunista, L’Altra Liguria, Partito Comunista dei Lavoratori e Sinistra Anticapitalista. “Come possono esserci dubbi? Da una parte una multinazionale con incrementi del 30% di fatturato in un anno, che utilizza massicciamente contratti a breve e brevissimo tempo, che parla di futuro ma che impone condizioni di lavoro ottocentesche, dall’altra chi quelle imposizioni le subisce – si legge in una nota -. Sappiamo bene quanto siano stati importanti i lavoratori della logistica, della distribuzione, in questo periodo di pandemia. Sappiamo quanto continueranno ad essere importanti per l’economia del 21° secolo e sappiamo benissimo quanti miliardi di dollari e di euro di profitti entrino nelle casse delle multinazionali della cosiddetta Gig Economy.