Genova. Riceviamo e pubblichiamo da Diego Repetto, docente di matematica e fisica del liceo King di Genova, una lettera aperta al presidente della Liguria Giovanni Toti dopo l’ordinanza che prevede la chiusura delle scuole superiori per questa settimana con la didattica a distanza per il 100% degli studenti.
Sabato scorso ho accolto con sconcerto e profonda amarezza la decisione di chiudere le scuole superiori, nonostante la Liguria sia zona gialla. Significa che avremo bar, ristoranti, centri commerciali aperti e le scuole superiori chiuse.
Premetto che sono consapevole delle enormi difficoltà vissute nell’ultimo anno da questi esercizi commerciali, i cui proprietari hanno tutta la mia comprensione, e non è mia intenzione sostenere una contrapposizione locali pubblici di ristoro/scuole. Non mi considero inoltre competente a sufficienza per poter stabilire se fosse davvero necessaria la chiusura degli istituti superiori, ma credo che, in un Paese civile, gli ultimi posti a chiudere dovrebbero essere proprio le scuole, di ogni ordine e grado.
Se da un lato alcuni dati pare indichino un’incidenza dell’apertura delle scuole nella curva del contagio, non mi risulta che ci siano studi scientifici che provino che nell’ambiente scolastico ci si ammali di più che nei bar, nei ristoranti o nei centri commerciali. Per almeno una settimana (ma temo per molto di più), costringeremo gli studenti a seguire il 100% delle lezioni da casa, per limitare la diffusione del virus, quando gli stessi giovani saranno liberi al pomeriggio di sedersi intorno a un tavolo e consumare senza indossare la mascherina (a scuola la mascherina è indossata sempre, anche durante la ricreazione, con l’eccezione di pochi minuti per il consumo della merenda, ciascuno seduto al proprio banco).
È umanamente inaccettabile. È giunto il momento di dire basta alla logica che governa le decisioni delle istituzioni. Le scuole non rientrano nel giro economico? Bene, allora possono rimanere chiuse. È una visione mercato-centrica, sbagliata da un punto di vista etico, miope da un punto di vista sanitario e sociale. Si stanno infatti sottovalutando le conseguenze psicologiche negative su un’intera generazione, già evidenti per chi, come me, ha a che fare ogni giorno con i giovani. Nei prossimi anni pagheremo a caro prezzo il disagio psichico e socio-relazionale vissuto dagli adolescenti durante la pandemia.
Ai problemi psicologici, si sommeranno inoltre quelli di carattere cognitivo. La tanto reclamata didattica a distanza (DAD), seppur utile in casi estremi (lockdown), non può essere pensata come valida alternativa alla didattica in presenza. Il rapporto docente-discente è prima di tutto un rapporto relazionale che può essere coltivato esclusivamente in presenza, così come in presenza può crescere il rapporto tra compagni, fondamentale nella creazione di un buon ambiente scolastico e, di conseguenza, anche ai fini dell’apprendimento stesso. È impensabile, inoltre, che dei ragazzi possano mantenere alta la concentrazione per quattro-cinque-sei ore davanti a uno schermo. Sono ormai numerose le ricerche scientifiche che evidenziano i limiti, e in alcuni casi i danni, di un’istruzione basata sul digitale (“Demenza digitale”, M. Spitzer, ed. Corbaccio).
In ultimo, ma non per questo meno importante, la DAD aumenta le disuguaglianze tra gli studenti (contravvenendo all’art. 3 della Costituzione), tra chi ha a disposizione un computer e una buona connessione e chi, invece, è costretto a seguire le lezioni sul tablet o addirittura sul telefono, con connessioni ballerine (famiglie poco abbienti o numerose con vari figli in DAD).
Ai mancati introiti di bar, ristoranti e altre attività commerciali è pur sempre possibile porre rimedio nell’immediato attraverso rimborsi economici (magari pensati meglio rispetto a quelli messi finora a disposizione). Per i problemi psicologici e per i deficit cognitivi il rimedio è molto più difficile e non necessariamente meno caro. Una chiusura delle scuole andrebbe quindi presa in considerazione esclusivamente dopo aver adottato tutte le misure utili per limitare la diffusione del virus e aver attuato la chiusura di altri luoghi in cui può avvenire il contagio.