Genova. Il tempo vola e talvolta qualche flashback torna alla mente… E’ l’aprile del ’96 e mi rivedo a San Siro, in tribuna, ospite di un amico milanese, mentre in campo se la stanno giocando, ad armi pari, la Sampdoria con i padroni di casa dell’ Inter… Verso la fine del primo tempo, Roberto Mancini fa un lancio di quaranta metri a David Balleri, che s’invola solitario sulla fascia, da dove mette in mezzo, per Chiesa, una bella palla… Enrico l’addomesticata col sinistro, finta di corpo ad eludere lo ‘zio’ Bergomi e sempre col mancino, la infila, a giro, all’incrocio dei pali interisti, difesi da Pagliuca, perché l’estate precedente vi era stato lo scambio con Walter Zenga.
Balzo in piedi, braccia alzate, verso la balaustra… ma non sono l’unico doriano in tribuna… cinque metri più in là, incontro lo sguardo festante di Domenico Arnuzzo, anche lui saltato in piedi ad esultare… La sua espressione del volto è identica alla mia: stupore ed ammirazione per la prodezza…
Ecco, mi piace partire da questo amarcord, per presentare l’odierna figurina dell’album dei ricordi blucerchiati, perché Arnuzzo è stato un bel difensore nella storia della Sampdoria (110 in A e 86 in B), ma forse ha lasciato un segno ancor superiore come direttore sportivo.
Due prestiti, ad inizio carriera, a Reggio Emilia e a Savona, ma poi tutto un carriculum maturato esclusivamente nelle fila del Doria, a partire dalle giovanili, inseguendo un sogno, sotto la guida del leggendario Cherubino Comino, con lui stopper e Marcello Lippi libero.
Esordisce in Serie A, alla Favorita di Palermo, nel ’69 (quando il “dottore” Bernardini sceglie lui, per sostituire l’influenzato Ubaldo Spanio, mandando in campo: Battara, Sabadini, Colletta, Sabatini, Arnuzzo, Garbarini, Morelli, Morello, Cristin, Benetti, Frustalupi), ma riesce a mettersi definitivamente in luce solo qualche anno più tardi, attraverso una crescita graduale, passando anche attraverso il cuscinetto della “De Martino”, come si usava una volta, per non bruciare i giovani…
Il campionato “De Martino” consentiva agli attuali ‘Primavera’ di confrontarsi con i vecchi marpioni, temporaneamente non utilizzati in prima squadra, in modo da rinforzare la corazza e venire fuori dal guscio.
E’ Heriberto Herrera, soprannominato HH2 da Gianni Brera, a dargli fiducia nel finale del Campionato ‘72/73, mandandolo in campo nelle ultime quattro, importanti, partite ed Arnuzzo lo ripaga… Arrivano tre pareggi ed una decisiva vittoria, quella del famoso 1-0, al Torino, con goal di Loris Boni e rocambolesca salvezza.
Ma è, poi, con ‘Guidone’ Vincenzi, che entra nel giro dei titolari (19 presenze su 30), con tanto di goal essenziale, al 90°, per pareggiare a Foggia (un punto determinante per salvare ancora una volta la ghirba, sia pur grazie ad un paio di retrocessioni d’ufficio), mentre è Giulio Corsini a dargli la maglia numero 2, per trenta volte di fila…
Arnuzzo nel ‘74/75 ? Sempre presente! Epiche le sue battaglie con Paolino Pulici... è la Samp di Salvi, Rossinelli, Boni, quella che si salva sempre “per un pelo”… o quasi… perché nel ’77, in Serie B, ci cade, ma anche fra i ‘cadetti’, Domenico, incarnando lo spirito battagliero di chi marcava ad uomo, continuerà a sfornare prestazioni gagliarde e maschie, senza mai passare la metà campo, come esigeva il ruolo del terzino in quei tempi.
Ci vorrà il Presidente Mantovani per dar vita al Rinascimento blucerchiato, con Arnuzzo che, appese le scarpe bullonate al chiodo, passa a lavorare ‘dietro la scrivania’ (ma sarebbe più corretto dire ‘a bordo campo’), prima come responsabile del settore giovanile, poi team manager ed infine direttore sportivo, sotto le presidenze di Paolo ed Enrico Mantovani.
Fu proprio a San Siro, in analogia all’aneddoto iniziale, che Arnuzzo visionò il giovane Mancini, in un Inter-Bologna, vergando sulla relazione: “Ha fatto intravedere grandi potenzialità”. Possiamo scrivere che forse si è trattato della “sliding door” della Sampdoria?
Infinita la lista delle plusvalenze prodotte, indovinando i giocatori giusti a parametro zero (come ad esempio Alain Bloghossian e Francesco Flachi), con un occhio particolare alla ex Jugoslavia, a partire da Vladimir Jugović. Nelle sue missioni al di là dell’Adriatico, Arnuzzo aveva già messo nel mirino Siniša Mihajlović (preso poi dalla Roma) e perfino Zvonimir Boban (visionato durante la famosa partita al “Maksimir” di Zagabria, fra Dinamo e Stella Rossa, che in pratica ha dato il via alla guerra dei Balcani ed alla scissione della Jugoslavia).
Una passione per il calcio slavo, quella della Sampdoria e di Arnuzzo in particolare, confermata anche da acquisti meno fortunati… quelli dei serbi Bratislav Živković, Nenad Sakić e Zoran Jovičić… tanto che questa volta ci vorrà Edoardo Garrone, per riportare in Serie A, “la ballerina”… ma la ristrutturazione passò attraverso Marotta, con Arnuzzo che lasciò casa Samp… in silenzio, ‘da campione’, senza alcuna polemica, restandone sempre il primo tifoso…
Della stessa serie “Album dei ricordi blucerchiati”
Bruno Mora, l’ala perfetta
Trevor Francis, “the striker”
Ruud Gullit , “Cervo che esce di foresta”
Nacka Skoglund, il re del tunnel
Toninho Cerezo, samba scudetto
Graeme Souness, “Charlie Champagne”
Aleksei Mikhailichenko, la stella dell’Est
Sebastián Verón, “La Brujita”
Luisito Suárez, “El arquitecto” dei primi anni ’70
Tito Cucchiaroni, una leggenda nella storia della Samp
Ernst Ocwirk, il faro del Prater
Giancarlo Salvi, il “golden boy” di Dego
José Ricardo “China” da Silva, il goleador brasileiro
Srecko Katanec, la gazzella slovena
Jorge Toro, dalle Ande agli Appennini Liguri
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Eddie Firmani, il “tacchino freddo”
Ermanno Cristin, il “Nordahlino” di Marassi
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Roberto Vieri, la fantasia al potere
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Gaudenzio Bernasconi, l’orsacchiotto
Fausto Pari, una vita da mediano
Giovanni Invernizzi, la classe operaia in paradiso
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Giovanni Lodetti, da “basleta” a “baciccia”
Attilio Lombardo, il “Popeye”
Valter Alfredo Novellino, il Monzon della panchina
Alessandro, “il conquistatore” Scanziani
Enrico Nicolini, “il Netzer di Quessi””
Loris Boni, il “baffo” col numero 8
Boškov e Veselinović, gli jugoslavi Maryan Wisnuewski , il francese arrivato da Lens
Giorgio Garbarini, il generale Custer
Marco Rossinelli, fuga per la vittoria
Pietro Vierchowod, lo Zar
Francisco Ramón Lojacono, “el tanguero”