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Afasia post stroke, una delle complicanze del covid al centro di un libro edito da Erga

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Genova. L’afasia è la perdita della capacità di comunicare. La sua causa più frequente è l’ictus cerebrale, con un’incidenza in circa il 30% dei casi. La sua presenza è un fattore prognostico negativo: mortalità più elevata ed esiti peggiori, che richiedono tempi di ricovero e impiego di cure ed assistenza maggiori rispetto ai pazienti con ictus che non ne soffrono.

Le conseguenze dell’afasia sono talvolta croniche e quasi sempre gravi, poiché l’impedimento a comunicare si traduce indirettamente in pericolo di vita o comunque in una silenziosa perdita di attività, identità, autonomia, ruolo e relazioni.

Attualmente non esiste alcuna terapia farmacologica o chirurgica in grado di sconfiggere l’afasia. L’unica terapia che mostra una certa efficacia è il trattamento logopedico.

La pandemia ha purtroppo riportato alla ribalta questo disturbo: i dati scientifici attualmente a nostra disposizione mostrano sia un incremento dell’ictus e quindi di afasia dovuto all’infezione da Coronavirus, sia la presenza di afasia tra i possibili sintomi precoci.
Già ad aprile scorso, alcuni neurologi statunitensi riportavano, in pazienti con COVID-19 con meno di 50 anni, un’incidenza di ictus sette volte più elevata di quanto ci si attenderebbe normalmente.
Durante l’estate, altri studi hanno indicato un’incidenza dell’ictus nei pazienti COVID-19 tra lo 0,9% e il 2,7%.

I primi dati del 2021 mostrano che il 2,8% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva per COVID-19 è soggetto a ictus, a causa dell’iper-coagulazione conseguente all’infiammazione provocata dal virus o da emorragie dovute all’aumento dell’ipertensione o dalla riduzione delle piastrine oppure dal danno cardiaco provocato dalla malattia.

Talvolta l’afasia è tra i primi sintomi della malattia a manifestarsi, addirittura prima che sia evidente l’interessamento polmonare. I sintomi neurologici appaiono comunque più frequenti durante e dopo la “guarigione” da Coronavirus, forse a causa dell’imponente affaticamento cui è stato sottoposto il sistema cardiovascolare durante la malattia: si stima che circa il 37% dei pazienti affetti da Sars-Covid19 manifesti nel lungo periodo effetti neurologici tra cui, in circa il 6% dei casi, l’ictus.

Poiché dalle casistiche attualmente disponibili emerge come quest’ultimo, nei pazienti COVID-19, sia più frequentemente associato all’occlusione di grossi vasi sanguigni, come ad esempio una grossa arteria cerebrale, si può facilmente comprendere come mai ciò comporti un rischio di mortalità e di disabilità residua più alto del normale. Inoltre, l’ictus associato al COVID-19 parrebbe colpire prevalentemente gli uomini (non discostandosi in questo dall’ictus non-Covid) e soprattutto persone al di sotto dell’età media, sui 50-65anni, senza grosse patologie preesistenti che possano costituire un chiaro fattore di rischio.

In conclusione, la pandemia ha indotto un aumento importante di ictus, in forma più grave, con maggiore mortalità (fino al 40%) e in pazienti più giovani, anche al di sotto dei 50 anni, spesso quindi in una fase di pre-diagnosi in cui la comunicazione tra medico e paziente è fondamentale.
Appare dunque chiara l’importanza della tempestività della riabilitazione logopedica per queste persone, in modo da ridurre il più possibile l’impatto che l’afasia ha sulla vita personale e sulla comunità.

Il Manuale scientifico “Afasia post-stroke”, scritto da una delle divulgatrici più esperte in questo settore a livello nazionale, la logopedista Cristina Flosi, ricco di tabelle, tavole e curiosità, edito dalla storica casa editrice genovese Erga, offre una guida preziosa a professionisti, pazienti e famigliari che hanno a che fare con questo difficile disturbo.

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