Terza udienza

Ponte Morandi, in aula le immagini dei cavi corrosi. I periti: “Controlli carenti per anni”

Per i super-tecnici nominati dal gip l'esecuzione del progetto di retrofitting avrebbe evitato il crollo con "elevata probabilità"

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Genova. I monitoraggi carenti, gli scarsi interventi di manutenzione e il retrofitting (il progetto di rinforzo delle pile 9 e 10) sono stati i temi trattati dai periti del gip Angela Nutini nel corso della terza udienza dell’incidente probatorio sulle cause del crollo del ponte Morandi. Da domani le udienze sono sospese fino al 18 febbraio.

“L’evoluzione in senso peggiorativo – hanno spiegato i periti nella relazione – già manifestatasi nei primi anni di vita del viadotto, era stata intercettata non solo da alcuni tecnici Spea ma dallo stesso progettista dell’opera, l’ingegnere Morandi, prima del 1985. I rilievi mossi fino al 1985 hanno avuto un riscontro modesto. Il livello di monitoraggio cui è stato ed era sottoposto il Viadotto Polcevera (altro nome del Ponte Morandi, ndr), almeno per la parte relativa ai sistemi bilanciati, non era del tutto soddisfacente e nei cassoni non sono più state fatte ispezioni dal 2012”. I periti hanno anche parlato dei suggerimenti proposti dal Cesi (società di consulenza specialistica) e dal professore Gentile “di cui però non si trova riscontro”.

Infine sul retrofitting i periti hanno ribadito che “l’esecuzione dell’intervento, per come riportato negli elaborati progettuali, avrebbe evitato il crollo con elevata probabilità”.

“Non sono rimasta scioccata dalle immagini della corrosione dei cavi – ha detto Egle Possetti, presidente del Comitato parenti vittime uscendo dall’aula -, ma mi sono commossa a rivedere quelle immagini. Per me è stato chiaro sin dal primo momento in che condizioni era il viadotto”.

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