Genova. In Val D’Aveto la doccia fredda era già arrivata venerdì con l’annuncio del passaggio della Liguria in zona arancione e quindi l’impossibilità di aprire gli impianti almeno fino al 20 febbraio (stessa sorta è stata riservata al Trentino, per dire). Tuttavia anche nell’entroterra genovese la reazione allo stop allo sci alpino fino al 5 marzo (almeno) è forte e rabbiosa.
“Questa è l’Hiroshima del settore – si legge sulla pagina Facebook degli Impianti Val D’Aveto – oggi il nostro sostegno va a chi operosamente, come solo la gente di montagna sa fare, si era predisposto seguendo le linee guida del Cts e avrebbe aperto gli impianti di risalita assumendo, spendendo e lavorando, la montagna merita rispetto, il lavoro altrui merita rispetto”, è il messaggio che rivolgono al governo in carica.
Alberghi, ristoranti, commercianti, agricoltori: un’intera filiera è legata al turismo delle ski area. “Siamo il valore aggiunto del territorio montano – ricordano i gestori degli impianti – è vero, si paga un biglietto, è ovvio, ma serve per far sì che anno dopo anno siamo ancora, capitale dei monti, uomini e donne che lavorano e abitano sul territorio, che lo rendono vivo e unico”.
In una delle annate più nevose di sempre, sin dai primi giorni di dicembre, i gatti delle nevi e gli operatori si sono adoperati per essere pronti e mantenere il manto bianco il più a lungo possibile. I genovesi e non solo hanno riscoperto la valle d’inverno anche con le seggiovie chiuse (e spesso anche con i ristoranti e i bar bloccati dalla zona arancione). Ora la doccia gelata sul no agli impianti – il Cts lo ha giustificato dicendo che c’è una circolazione troppo alta del virus e in particolare della variante inglese – lascia l’amaro in bocca. “Preparatevi perché ne vedremo delle belle”, avvertono dalla Ski Area Santo Stefano d’Aveto.