Ecatombe

Disastro rsa, il 40% delle strutture è a rischio chiusura: nuovi ospiti in calo del 96%

Maggiori costi, minore domanda: nei prossimi mesi sono a rischio almeno 3000 posti di lavoro

rsa residenza protetta faggio generica
Foto d'archivio

Genova. Ad un anno dall’inizio della pandemia, il settore del rsa è al collasso: dopo essere stato frontiera e trincea durante l’esplosione dell’epidemia, oggi deve fare i conti con un mercato in profonda mutazione, sia in termini di offerta che di domanda, e che rischia di travolgere decine di strutture e migliaia di lavoratori.

I numeri sono spaventosi: solo nel 2020 è stato calcolato un calo medio di fatturato del 30%, con una perdita netta di oltre 100 milioni di euro per tutto il settore; una vera e proprio “epidemia” di bilanci in rosso che sta mettendo a rischio almeno 3000 posti di lavoro, tra medici, infermieri, operatori socio sanitari, educatori e fisioterapisti.

A determinare questa difficile situazione da un lato l’aumento dei costi e dall’altro il crollo della domanda di accesso al servizio. Sul conto economico delle strutture, infatti, pesa la fornitura massiva dei dispositivi di protezione personale igienizzanti e adeguamenti strutturali per i quali al momento non sono arrivati ancora i ristori promessi dalle istituzioni. Ma non solo: ad aumentare è anche il costo del personale, letteralmente “scippato” dal comparto pubblico che in questi mesi ha fatto piazza pulita della domanda di lavoro, soprattutto per quanto riguarda gli infermieri, il cui costo orario è letteralmente schizzato alle stelle, con una retribuzione netta praticamente raddoppiata.

“Una questione questa del personale molto importante e strutturale – ci spiegano i rappresentanti del settore che in questi mesi si sono uniti per fare fronte comune nei tavoli istituzionali – visto che permane il numero chiuso nelle università, e quindi il sistema formativo nazionale non è in grado di sostenere la richiesta del mercato. Situazione che pagheremo ancora per i prossimi anni. Noi oggi siamo costretti ad “importare” infermieri dall’India, dalla Tunisia, giusto per fare degli esempi, a decine“.

L’altro aspetto è la precarietà di migliaia di altri lavoratori, come gli operatori socio sanitari, che rischiano licenziamenti di massa: “Il blocco dei licenziamenti al momento ha fatto da diga, ma nei prossimi mesi si rischia una vera e propria ecatombe di posti di lavoro, che potrebbe colpire un terzo del settore“. Settore che oggi in Liguria conta circa 9 mil posti di lavoro, per cui il conto è presto fatto. E dei 3000 lavoratori a rischio, sono soprattutto gli Oss ad essere maggiormente esposti alla precarietà e alla disoccupazione.

Oltre ai costi, come dicevamo, alla base del disastro del settore c’è anche, e forse soprattutto, il crollo della domanda di inserimenti nelle strutture che in alcune realtà ha sfiorato anche il 100%. Dopo il blocco degli inserimenti decretato da Alisa da marzo a luglio, il mercato non è più ripartito: “Si tratta ovviamente di molti fattori, il primo dei quali la pessima “pubblicità” della cronaca di questi mesi, dove le rsa sono state dipinte indistintamente come generatrici di cluster e focolaio, ma non è andata così”. In che senso? “Nel senso che ci sono stati due schemi: le regioni, dopo aver chiuso gli inserimenti, hanno mandato anziani covid positivi nelle rsa, facendo esplodere il contagio. Il caso lombardo è esemplare, non a caso è finito nel mirino della magistratura. Ma nelle piccole strutture, le cose sono andate diversamente, con utenti messi in sicurezza e contagi subito gestiti nella maniera corretta, con una gestione più oculata del personale”.

Ma non solo: il crollo della domanda è dovuto anche alle contingenze economiche generalizzate: “Il reddito medio delle famiglie è calato, e sono sempre meno le persone che si possono permettere di pagare una retta, anche se convenzionata – ci spiegano – oltre al fatto che con molte persone che lavorano in smart working da casa, spesso è venuta meno l’esigenza di accudimento degli anziani, soprattutto per quelli più autonomi“.

Insomma, una crisi profonda che rischia di diventare una vera Caporetto per un settore che da anni era diventato sempre più importante per l’economia regionale, (la famosa Silver Economy, ricordate?) per le capacità attrattive sia di investimenti che di persone. “Se continua così entro sei mesi il 40% delle strutture liguri potrebbe chiudere, lasciando il campo libero alle mega aziende multi-centro dove il rapporto utente-struttura non va oltre al mero calcolo di bilancio, dove si risparmia sul costo del lavoro e sulla prestazione per aumentare i ricaci e i dividendi. Dove i nostri anziani sono solo numeri e le loro famiglie riserve da spremere“.

In questi mesi le varie associazioni che rappresentano le Rsa, dall’Agespi all’Anffas, dal Forum Liguria del Terzo Settore a Uneba Liguria, hanno chiesto l’intervento delle istituzioni: “Abbiamo scritto una lettera-appello a Regione Liguria prima di Natale, e il prossimo 15 febbraio avremo il primo tavolo con Alisa e regione. Speriamo che non sia troppo tardi“.

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