Genova. Il divieto di asporto per i bar dopo le 18, largamente preannunciato e infine scritto nel nuovo Dpcm, è suonato come una presa in giro. “Non servirà a evitare gli assembramenti perché di fatto chiude solo due tipologie di attività – dice Marina Porotto, esercente del centro storico e presidente ligure dei giovani della Fipe -. È una manovra che non ha senso. Non è possibile continuare a scaricare la questione sui pubblici esercizi”.
Quella che è stata definita come “stretta sulla movida” in effetti appare incomprensibile nei luoghi dove un tempo la movida c’era davvero, ormai sparita da marzo salvo una parentesi estiva decisamente soft. Il Governo ha voluto evitare che la scusa della “birretta da portare a casa” diventasse fonte di capannelli davanti ai locali, ma la formulazione della norma lascia ampi spazi di trasgressione. A doverla rispettare infatti saranno solo i bar non dotati di una cucina e le enoteche. Supermercati, minimarket, tavole calde e gastronomie potranno continuare a vendere alcolici e qualunque bevanda fino alle 22, anche se resta proibito il consumo nelle vicinanze.
“Si tratta di una discriminazione nella discriminazione – prosegue Porotto -. Per noi, che stiamo fatturando già il 10-20% di quello che era prima della pandemia, significa rinunciare anche ai clienti che uscivano dal lavoro e che magari compravano una bottiglia di vino da 20 euro o qualche birra artigianale. Oltretutto è un divieto uniforme in tutta Italia, che va a colpire realtà che la movida non l’hanno mai vista”.
Continua a piovere sul bagnato per una categoria che non vede la luce in fondo al tunnel. Oggi in Liguria iniziano altre due settimane in zona arancione dopo una finestra di libertà (relativa) durata appena sei giorni. “Chiediamo piuttosto controlli e sanzioni per chi non rispetta i protocolli di sicurezza, che sono un numero esiguo in percentuale. Ovvio, fa più notizia uno che fa il furbo rispetto a cento che seguono le regole”.
A Genova, salvo un caso isolato alla Foce, non è decollata per ora la protesta dei ristoratori #IoApro in violazione dell’obbligo di chiusura serale. “Avete visto quanto siamo stati coscienziosi, per noi la sicurezza è sempre la priorità – fa notare Marina Porotto – eppure adesso siamo davvero alla disperazione. Anche perché i ristori non sono arrivati a tutti e i criteri sono sbagliati”.
Tutti gli aiuti, infatti, vengono erogati sulla base del calo di fatturato registrato ad aprile 2020. “Nell’urgenza del momento andava bene, ma nel frattempo sono cambiate tante cose. Molti locali hanno subito perdite gravissime in inverno e i ristori non sono sufficienti a compensarle. Chiediamo di considerare la perdita su base annuale”. E poi c’è il paradosso delle attività che in quel mese erano chiuse per ristrutturazioni, ferie o traslochi e che sono rimaste completamente escluse dai contributi. Un problema che riguarda 3mila imprese a livello nazionale.
Sullo sfondo la grande incognita, che vale in realtà per tutti i settori economici: cosa succederà quando si sbloccheranno i licenziamenti? “Dipende se ci faranno lavorare o meno – conclude Porotto – perché comunque alla ristorazione gli addetti servono. Ma teniamo conto che molti locali hanno già chiuso e quei posti di lavoro non verranno più recuperati”.