Genova. La terza sezione della Corte di cassazione ha annullato la sentenza di appello che assolveva Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, accusati di tentata violenza di gruppo nei confronti di Martina Rossi, la giovane genovese precipitata da un balcone di un hotel a Palma di Majorca il 9 agosto 2011.
Il verdetto della Suprema Corte è arrivato dopo una lunga camera di consiglio preceduta dall’udienza a porte aperte che si è conclusa intorno alle 15 di oggi e alla quale hanno partecipato anche Franca Murialdo e Bruno Rossi, i genitori di Martina. Padre e madre, entrambi in pensione, lei insegnante e lui ex camallo del porto di Genova, hanno seguito tutte le fasi processuali e da anni si battono senza sosta per ottenere la verità piena su quanto accaduto alla loro figlia.
Quella caduta dal sesto piano dell’hotel Santa Ana velocemente archiviata dalla polizia spagnola come suicidio non ha mai convinto i genitori di Martina e i loro avvocati a cominciare dal genovese Stefano Savi che li ha seguiti in questa lunga battaglia.
Albertoni e Vanneschi, entrambi di Castiglion Fibocchi, tornano quindi sotto processo: dovranno affrontare un ‘appello bis’ sempre davanti alla corte di appello di Firenze, ma davanti a un’altra sezione. I due oggi hanno atteso la sentenza degli ‘ermellini’ nelle loro abitazioni.
Inizialmente Albertoni e Vanneschi erano accusati di tentata violenza di gruppo e morte come conseguenza di altro reato. In primo grado, il Tribunale di Arezzo, il 14 dicembre 2018, li aveva condannati a sei anni di reclusione ritenendo che Martina fosse precipitata dal balcone della camera dove alloggiavano i due ragazzi – nello stesso hotel della studentessa genovese – per fuggire a un tentativo di stupro. In appello invece, lo scorso 9 giugno, Albertoni e Vanneschi sono stati assolti dall’accusa di tentata violenza sessuale con la formula “perché il fatto non sussiste” mentre era stato dichiarato prescritto il reato di morte come conseguenza di altro reato.
La sentenza di assoluzione della Corte di appello di Firenze era stata però impugnata dalla Procura generale di Firenze per “indizi non valutati”, “motivazione contraddittoria” e “valutazione frazionata e priva di logica degli indizi”.
Anche il procuratore generale della Cassazione, Domenico Seccia, nella sua requisitoria scritta depositata nei giorni scorsi, aveva chiesto di riesaminare la vicenda e annullare le assoluzioni. In aula oggi il Pg Seccia ha ribadito la sua richiesta e quella della procura fiorentina di riesaminare alcuni elementi trascurati in un nuovo processo di appello, a cominciare dal video in cui gli imputati, in questura a Genova, sembravano manifestare sollievo per il fatto che non erano stati trovati segni di violenza sul corpo di Martina.
Proprio l’intercettazione del colloquio tra i due giovani aretini in questura a Genova, il 7 febbraio 2012, aveva portato a riaprire il caso della studentessa genovese che studiava architettura a Milano ed era in Spagna per la sua prima vacanza sola con le amiche.
“Ce l’abbiamo fatta. Era indispensabile questo annullamento per fare chiarezza”. ha commentato dopo la sentenza Bruno Rossi, papà di Martina. “Adesso si lavora per avere il minimo di giustizia. Martina non me la ridarà nessuno, ma almeno si saprà cosa è successo quella notte. Ci hanno provato in tutti i modi a distruggere me e mia moglie. A raccontare un’altra storia. Ma io sono più duro di loro e non ho mai ceduto”.
A sostenere la famiglia di Martina in questi mesi è nato anche un gruppo facebook che, oltre a organizzare momenti di solidarietà virtuali o nelle piazze, ha preparato una petizione che ha raccolto 80 mila firma per chiedere verità e giustizia per Martina al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La sentenza degli Ermellini di questa sera potrebbe essere in questo senso un primo passo.
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