Genova. Erano in centocinquanta i ristoratori in piazza a Genova questa mattina. La protesta, nata per caso in modo autorganizzato e spontaneo da un gruppo di ristoratori della Valle Scrivia (come Genova24 ha raccontato in questo articolo), si è allargata a macchia di leopardo a tutta la città. Nessuna sigla né associazione di categoria ma solo l’esigenza di chiedere “diritto al lavoro, rispetto delle regole e dignità per tutti”, come è scritto sui cartelli che molti titolari di bar e ristoranti hanno appeso al collo.
“Siamo qui per contrastare il trattamento che ci stanno riservando – racconta una lavoratrice della Locanda San Biagio in Valpolcevera – perché non possono colpevolizzare noi per la diffusione del virus”. Diritti dei ristoratori quindi ma anche dei clienti a cominciare dagli operai, dai trasferiti che da quando i locali sono chiusi si ritrovano a consumare il pasto al freddo a bordo strada: “Noi lavoriamo molto con i trasfertisti che ora devono mangiare in macchina o sotto la pioggia. Poi noi capiamo perché altre categorie abbiamo ottenuto di lavorare anche con arancione o rosso come i parrucchieri e noi no”.
Martina Vallarino, titolare dell’osteria della Bastìa di Busalla, è stata la prima ad avere l’idea di una protesta condivisa tra i colleghi: “Un giorno ho deciso di aprire un gruppo whatsapp – racconta – inserendo i miei colleghi vicini per confrontarci e capire cosa si poteva fare e poi ci siamo incontrati fisicamente in una piazza e abbiamo deciso di cominciare questo percorso”.
Di essere bollati come potenziali untori proprio non ne possono più: “In questi mesi abbiamo fatto tutto quello che ci hanno chiesto di fare, tolto posti e tavoli, messo gel e affisso cartelli. Poi i clienti sanno come devono comportarsi e non dobbiamo fare i guardiani di nessuno, quindi chiediamo di poter lavorare, come fanno tutti gli altri”.
I ristoratori chiedono anche di poter aprire la sera: “Magari possiamo chiudere prima ma non cambia nulla dal mezzogiorno alla sera rispetto alla sicurezza”. Fra l’altro molti locali hanno un clientela che all’ora di pranzo è inesistente: “Noi per esempio, nell’entroterra lavoriamo comunque sopratutto la sera e nel fine settimana. L’asporto? “Per noi delle Valli è assolutamente impraticabile”.
Le associazioni di categoria in piazza non ci sono, un’assenza in qualche modo anche cercata: “Abbiamo fatto tutto da soli anche perché non volevamo portare la politica in questo manifestazione – spiega Samanta Fontolan Mazza della trattoria da Franca di vico Lepre – Abbiamo dei problemi che vanno risolti e noi sappiamo benissimo quali sono. Chi meglio di noi può rappresentarci? Inutile affidarci a sindacati associazioni. Chiediamo il diritto a lavorare e a farlo con dignità. Queste aperture a singhiozzo, quest’incertezza sugli orari e su quello che puoi o non puoi fare, oggi l’asporto domani il domicilio, questo non è lavorare è sopravvivere”.
Marco Guandalini dell’antica trattoria Semino di Busalla ha consegnato la lettera dei ristoratori alla Prefettura: “Gli abbiamo spiegano quali sono le nostre richieste, ora andremo in regione dove ci riceverà un collaboratore del governatore Toti, poi se non succederà niente potremmo tornare anche lunedì’ prossimo e quello successivo e quanti saremo non importa perché io posso anche tornare qui da solo” spiega al microfono davanti ai suoi colleghi.
“Tanti locali ormai sono sul baratro, non ce la fanno più, per questo si chiede di lavorare in sicurezza sia a pranzo che a cena perché il livello di sicurezza è lo stesso” dice poi a margine – chiediamo risarcimenti diversi da questi ristori assolutamente insufficienti e vogliamo garanzie sulle tutele per i nostri dipendenti”.