Genova. A quasi un anno dallo scoppio della più grande crisi sanitaria globale della storia recente, la Scuola è ancora in balia delle restrizioni e della didattica a distanza che in questi mesi sono state prorogate senza soluzione di continuità. Soprattutto per le superiori, quel ciclo scolastico dove maggiormente gli adolescenti di oggi si attrezzano per essere gli adulti di domani.
Ma che cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Quale sarà il prezzo che pagheremo per questa situazione ad oggi ancora senza un orizzonte temporale definito? Come saranno questi adulti del futuro? Domande complicate “a cui oggi non possiamo rispondere, ma che dobbiamo iniziare a porci, con urgenza, per ridisegnare le priorità della società”.
Questa è la prima risposta di Francesca Camia, medico neuropsichiatra infantile, specializzata in psichiatria adolescenziale, e da anni operativa in diverse comunità dedicate, e che in questi mesi sta osservando da vicino l’evoluzione della situazione ‘intorno’ ai nostri ragazzi: “Non abbiamo delle risposte univoche perché il Covid è arrivato su un contesto, quello dell’adolescenza, già oggetto di un forte cambiamento dovuto alle mutazioni della socialità. Cambiamenti velocissimi, legati agli strumenti di comunicazione sempre più pervasivi e totalizzanti. Il lockdown, i confinamenti, le restrizioni e la chiusura delle scuole hanno ingigantito e accelerato certe dinamiche, a cui oggi noi adulti non sappiamo dare delle risposte, e non è detto che sapremo darle in futuro”.
L’impatto maggiore arriva dalla mancanza della scuola, intesa come luogo di incontro ‘fisico’ e di costruzione della socialità: “Luogo, talvolta difficile e conflittuale, dove però si forma l’individualità delle persone, anche attraverso la assunzione di responsabilità”. Responsabilità e conflittualità che attraverso la comunicazione mediata da una computer o cellulare può essere aggirata facilmente: “Problemi di connessione simulati, video spenti, assenze. In questo modo la responsabilità viene posticipata mentre l’ansia viene coltivata, provocando ulteriori chiusure”.
Ma il pericolo non è solo la mancanza della scuola in presenza, ma anche l’invasione del mondo esterno negli ambienti domestici: “Nella propria camera, quando questa esiste, i ragazzi oggi fanno tutto, dormono, seguono le lezioni, si relazionano con gli altri. In altre parole in mondo esterno è entrato prepotentemente in quella che dovrebbe essere la “tana”, o il ‘rifugio’, contribuendo a creare stati d’ansia e di profonda insicurezza”. Meccanismi simili a quelli che possono travolgere gli adulti in home-working, ma che per gli adolescenti possono essere deflagranti e totalizzanti.
Dal punto di vista dell’apprendimento, il perdurare di questa socialità a distanza sta quindi accentuando problemi già in essere, creandone però di nuovi: “Dalla mia esperienza sto osservando come, in questo contesto, tutti quei ragazzi a metà tra chi è era problematico e chi invece aveva già gli strumenti per sostenere le difficoltà, stanno sorgendo nuove criticità – spiega Camia – tutti quei ragazzi che ‘galleggiavano’ per diversi motivi, e che grazie al contesto sociale, al rapporto con i pari o con le responsabilità della scuola riuscivano a rimanere agganciati, oggi rischiano di perdersi”. Un rischio che getta delle serie ombre sul loro progetto di vita di lungo periodo.
“E’ la socialità che non c’è più che sta creando i maggiori problemi di salute mentale negli adolescenti – sottolinea – un trend già presente negli ultimi anni e che rischia in questo modo di esplodere, con esiti di difficile previsione oggi”. E oggi quali sono i segni, i sintomi di questo malessere? “Già da tempo l’autolesionismo è un’attitudine in crescita, quasi in termini di “moda”, soprattutto tra le ragazze, oggi però rischia di prendere una dimensione più ampia. Ma su tutte sono la depressione e l’incapacità di gestire l’ansia le due condizioni che rischiano di diventare patologiche per molti ragazzi, il cui incontro con il mondo “adulto”, inevitabile, potrebbe essere deflagrante e annichilente”.
In altre parole una generazione di future donne e futuri uomini meno preparati e meno attrezzati per l’incontro con ‘il mondo là fuori’: “La scuola, soprattutto le superiori, sono il primo momento nella vita dei ragazzi dove si è più esposti al conflitto, dove si hanno le prime responsabilità, dove si è esposti ai problemi, e dove in fin dei conti un po’ si impara a stare al mondo. Venendo a mancare questa anticamera, questo passaggio, il rischio è che l’incontro con il mondo competitivo del lavoro possa essere devastante”.
Cosa si può fare? “Bisogna tornare ad aprire le scuole il prima possibile – conclude Francesca Camia – questa deve essere la nostra priorità. Questa situazione sta oltretutto alimentando le disuguaglianze sociali: la salute mentale è più a rischio dove esiste meno benessere, dove oltre ai problemi dei ragazzi si aggiungono i problemi dei genitori, dove la convivenza domestica è sofferenza, per tanti motivi. Non oggi non sappiamo prevedere cosa tutto questo vorrà dire, quale sarà il suo prezzo sociale, e se i ragazzi di oggi saranno preparati. Il rischio è che non lo saremo neanche noi”.