Genova. “L’art. 21 della Costituzione italiana tutela il diritto di libertà di manifestazione del pensiero come ‘pietra angolare dell’ordine democratico, cardine di democrazia nell’ordinamento generale, coessenziale al regime di libertà garantito dalla Costituzione’ (così in varie pronunce si è espressa la Corte costituzionale). La censura politica è un istituto bandito dal nostro sistema giuridico e dovere dell’Amministrazione è porsi con trasparenza ed imparzialità assoluta di fronte alle diverse espressioni del pensiero, senza alcuna possibilità di interferire nelle scelte comunicative ovvero condizionarne nel merito i contenuti, se non nelle situazioni in cui il messaggio trasmodi palesemente in formulazioni aggressive, volgari, di incitamento all’odio e alla violenza, lesive dell’onore e della reputazione delle persone”. Così in una nota il Comune di Genova interviene sulla polemica circa i manifesti anti abortisti fatti affiggere dall’associazione Pro Vita in cui si paragona in un’immagine choc la pillola abortiva al veleno.
“Il bozzetto del manifesto riporta tra le motivazioni della campagna gli articoli 2 e 32 della Costituzione, in riferimento al diritto alla vita e alla salute, dichiarando che la finalità è quella di suscitare dibattito plurale e riflessione critica su un tema in ordine al quale si registrano posizioni diversificate nell’opinione pubblica” dice la nota di Tursi. Il manifesto ha suscitato parecchie reazioni critiche a cominciare da diverse associazioni di ginecologi italiani
“Si ritiene, pertanto, che non sussistano i presupposti per procedere alla rimozione dei manifesti e che tale azione costituirebbe un esercizio arbitrario delle potestà pubbliche – si legge nella nota del Comune di Genova –
Respingiamo con sdegno ogni strumentalizzazione, da qualsiasi parte essa provenga, tanto più su tematiche così delicate sulle quali del tutto legittimamente si misurano opinioni e visioni diverse”.
Il Comune di Milano ha invece fatto una scelta diversa rimuovendo i manifesti che hanno suscitato sdegno e polemiche perché considerati lesivi dei diritti delle donne.