Genova. Paolo Berti, ex direttore delle operazioni centrali di Aspi, “era consapevole dell’inadeguatezza e pericolosità delle barriere fono assorbenti” ma non intervenne. Lo scrivono i giudici del Riesame nelle motivazioni con cui hanno revocato i domiciliari all’ex dirigente disponendo l’interdizione per un anno. Secondo i giudici, Berti seguì “la linea dell’azienda” ovvero quella del massimo risparmio sulle manutenzioni per distribuire più profitti tra i soci. “Una articolata condotta costellata – scrivono i giudici – di sapienti silenzi e inganni espliciti mantenendo nel tempo la pericolosità della circolazione”. “A lui – proseguono i magistrati – spettava di fermare il ‘treno'”.
La scelta di revocare la misura cautelare sostituendola con quella interdittiva di esercitare per un anno la professione di ingegnere e di ricoprire cariche direttive in aziende pubbliche o private, deriva dal fatto che da settembre 2019 non ricopre più incarichi in società pubbliche e private e che anche comportamenti che possano rientrare nel rischio di inquinamento probatorio risalgono allo stesso periodo.
Il Riesame nelle motivazioni cui cui revoca i domiciliari al dirigente, tuttavia, traccia un quadro molto pesante relativo agli ex vertici di Aspi, giudicati responsabili di “condotte di dissimulazione e falsità” “destinate anche a mantenere il ministero delle Infrastrutture nell’ignoranza circa lo stato effettivo del patrimonio autostradale”.
Per il ponte Morandi vennero redatti falsi report sulle “ispezioni, sulla valutazione di sicurezza richiesta dall’ordinanza del presidente del Consiglio e sulle verifiche di sicurezza antisismiche” scrivono i giudici. In più “è stato artatamente inquadrato come intervento locale il progetto di retrofitting (il rinforzo delle pile 9, quella caduta, e la 10), con elusione dei controlli e avallando affermazioni inveritiere”