Genova. Doveva essere il primo segnale concreto di rinascita, un luogo di aggregazione sociale, uno spazio dove fermarsi a riposare e ricordare le 43 vittime del Morandi. A guardarla oggi, la “radura della memoria” sotto il nuovo ponte Genova San Giorgio, a lato di via Fillak, sembra più che altro un deserto. A frequentarla sono poche persone, passanti solitari, gente a spasso col cane, curiosi che osservano il cantiere. Perché di questo si tratta: di un piazzale ricoperto di ghiaia con vista cantiere, fruibile solo per metà.
Passati quattro quattro mesi dall’inaugurazione del viadotto, prototipo del “modello Genova” da esportare in Italia e nel mondo, lo scenario ai piedi delle pile disegnate da Renzo Piano appare molto distante dal concetto di rinascita. La riqualificazione della zona è ancora in alto mare. I lavori in capo alla struttura commissariale non sono ancora finiti e quelli del futuristico parco del cerchio rosso firmato Stefano Boeri non sono nemmeno iniziati. A proposito, domani a palazzo Tursi ci sarà una commissione sul tema.
Accanto agli alberi che simboleggiano le vite spezzate nel crollo si stagliano le reti e le transenne. Al di là delle recinzioni c’è un cumulo di terra: si tratta del materiale di scavo per il rifacimento del muro di confine con la ferrovia che interferiva con la pila 12 del nuovo ponte e per questo è stato spostato.
Una parte del podio che delimita il piazzale circolare, costruito col legno delle foreste friulane distrutte dalla tempesta Vaia, si trova in area di cantiere. Questi lavori, così come la verniciatura delle pile, competono ancora alla struttura commissariale che prevede di liberare lo spiazzo entro 15-20 giorni.

Sul lato nord altre transenne divelte dovrebbero teoricamente impedire l’accesso a quel che resta dei palazzi di via Porro scampati alla demolizione dalla parte di Certosa. Edifici fatiscenti e decadenti che un giorno, forse, rinasceranno grazie a progetti di housing sociale e alloggi per studenti. Ad oggi sono solo casermoni vuoti e abbandonati, lasciati all’incuria totale. Nell’area antistante, già riconsegnata dalla struttura commissariale al Comune, giacciono cumuli di rifiuti e detriti che non sfuggono alla vista di chi sosta nella radura della memoria.

“Uno spazio sociale? Purtroppo non è così – ammette Patrizia Bellotto, portavoce del comitato degli abitanti ai confini della zona rossa -. Anche noi, quando c’era stata la fiaccolata coi parenti delle vittime, avevamo sperato che diventasse qualcosa del genere, uno spazio comune dove ritrovarsi. Dopo il 14 agosto è stata chiusa per alcuni giorni, abbiamo protestato e hanno aperto un pezzo di cancello. Subito dopo hanno transennato di nuovo e hanno cominciato a spostare altra terra. Adesso ci sentiamo parecchio abbandonati. Come si può pensare che portiamo lì i nostri bambini? Noi la mascherina non la usiamo per il Covid, ma per l’inquinamento che c’è in quel pezzo di strada”.

E infatti la preoccupazione numero uno, al di là del degrado che regna ancora sovrano, è l’impatto delle polveri provenienti dal cantiere – e in particolare dal ballast del parco ferroviario – accentuato dal vento forte degli ultimi giorni. Gli abitanti avevano espresso “preoccupazione e sconcerto” per la situazione di via Fillak e dintorni, e la struttura commissariale aveva risposto che le ruote dei camion vengono regolarmente lavate mentre quello che appare come “polverone” in realtà sarebbe acqua nebulizzata. In ogni caso da queste parti non si dormono sonni tranquilli.
“La pandemia sta bloccando un po’ tutto – osserva Antonio Lillo, il presidente del comitato -. Il problema grosso sarà capire da dove partirà la riqualificazione, al momento è tutto fermo. Per le polveri l’osservatorio ci dice che è tutto sotto controllo, ma questo non ci consola perché le polveri ci sono. Rispetto agli scorsi mesi la situazione è leggermente migliorata, la viabilità è migliorata, però via Fillak è sempre abbandonata a se stessa”.

Lunedì scorso i residenti hanno incontrato il nuovo presidente del Municipio Centro Ovest, Michele Colnaghi, che si è impegnato a farsi carico delle loro problematiche. Qualcosa si sta muovendo sul fronte della palestra di via Porro, dove il comitato ha chiesto di avere una propria sede.

“Rfi si è offerta di eseguire i lavori di ristrutturazione a proprie spese – riferisce Colnaghi – e Hitachi finanzierà l’acquisto di nuove attrezzature, anche se ci sono poche indicazioni su cosa andrà fatto in quei locali. A breve il Comune o il Municipio pubblicheranno un bando per la gestione. Sappiamo che hanno espresso interesse già tre società: la Ginnastica Sampierdarenese, la Sport&Go e il Cerchio Blu”.
Ma quella radura grigia, spoglia, sporca e tagliata in due dalle transenne è l’emblema di una rinascita che sta ancora sulla carta. Vero è che la sistemazione è solo temporanea e che le piante, di 43 specie diverse come le vittime del ponte, saranno poi spostate nei pressi del memoriale definitivo del parco di Boeri.

“Purtroppo è tutto all’aria, qui è un problema dietro l’altro”, sospira Bellotti. E in via Porro, dopo mesi di battaglie, c’è chi sta cercando di andarsene. Facendo i conti con una prevedibile realtà, che le speranze di rinascita non hanno intaccato: quelle case oggi valgono la metà.
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