Genova. “Per i nostri figli lavorare non è solo un modo per guadagnarsi da vivere, cosa di primaria importanza, ma un modo per interagire con la società, un modo per avere un’esistenza dignitosa, non è giusto che non sia concessa una possibilità a tutti”. A parlare è Daniela, madre di un ragazzo di 23 anni – “lui ormai è grandicello, ma combattiamo anche per quelli che ancora vanno a scuola”, dice – e parla a nome di un gruppo di genitori e famiglie genovesi che si trovano di fronte allo stesso problema. Anzi, a più di un problema.
Da una parte le graduatorie per il collocamento mirato nelle aziende di dipendenti con disabilità. Oggi in Italia, e quindi anche in Liguria, vedono le imprese attingere a graduatorie strutturate in base all’Isee del nucleo familiare. “Questo significa – spiega Daniela – che è praticamente impossibile, per famiglie come la nostra, con due genitori che lavorano come impiegati part-time, avere accesso ad esperienze lavorative, mio figlio nell’ultima chiamata è arrivato 1651esimo”.
Va da sé che, come rispecchia la stessa graduatoria, ci sono molti ragazzi e ragazze in una condizione più svantaggiata di quella raccontata, tuttavia molte famiglie vivono come un’ingiustizia il fatto di doversi affidare soltanto a questo tipo di meccanismo.
Anche perché il mondo della scuola e quello della formazione, specialmente per chi ha deficit psichici, non è predisposto in modo tale da offrire a questi ragazzi una vera e propria qualifica.
“Ci sono tanti giovani che frequentano i cinque anni delle scuole superiori – racconta Daniela – magari senza diplomarsi perché non riescono a raggiungere un livello minimo in ogni materia ma quello che ottengono successivamente, frequentando enti di formazione dedicata, è un aiuto all’inserimento pratico nel mondo del lavoro, non una qualifica con cui possano spendersi”. Come dire, che senso ha saper scrivere un curriculum e presentarlo se non si ha nulla da scriverci sopra. Queste famiglie chiedono alle istituzioni percorsi di formazione più concreti ed efficaci.
“Abbiamo scritto alla ministro della Famiglia Alessandra Locatelli, nei prossimi giorni avremo un incontro con l’assessore regionale Ilaria Cavo – conclude Daniela – stiamo cercando un interlocutore, perché i nostri figli non siamo più trasparenti”.