Appello

Buona la prima nei ristoranti genovesi, ma ora scalpita la movida: “Fateci aprire fino alle 22”

La Fipe: "Con la chiusura alle 18 restano esclusi il 30% dei locali, servono controlli mirati sul rispetto delle regole"

Coronavirus, ultimo aperitivo in centro storico prima dell'ingresso in "zona arancione"

Genova. Bilancio positivo nei ristoranti genovesi per la prima domenica di apertura alla clientela dopo le restrizioni della zona arancione. Tante prenotazioni e un sospiro di sollievo dopo due settimane di stop, ma manca ancora qualcosa. Perché l’obbligo di chiudere alle 18 – valido anche in zona gialla – taglia fuori pub, birrerie e tutti quei locali che vivono principalmente sulla movida serale.

“Siamo contenti di questa apertura, la nostra categoria in questo mese se l’è vista davvero brutta – spiega Marina Porotto, presidente di Fipe giovani Liguria – ma un buon 30% degli esercizi sono ancora chiusi. Parliamo di bar serali, pub, birrerie, locali da ballo. Per loro è difficile reinventarsi, l’aperitivo a mezzogiorno non consente certo di recuperare tutte le perdite. Pensiamo a quei posti lontani dal centro, che non possono lavorare in pausa pranzo, e quelli che aprono solo sabato e domenica”.

E allora, visto che le maglie si sono allargate per l’orario diurno, dalla categoria giunge un appello: “Chiediamo di poter aprire fino alle 22 – continua Porotto che gestisce un locale in piazza delle Erbe -. Il pubblico esercizio è un luogo controllabile, e comunque non esistono studi che dimostrino che al bar ti prendi il Covid e non su un bus“.

A una condizione, certo: “Servono controlli sul rispetto dei protocolli. In questo modo si potrebbe tentare un servizio serale, tanto poi ci sarebbe il coprifuoco e i clienti dovrebbero comunque tornare a casa. Ma almeno aperitivo e cena ci siano concessi”.

“Aprire questa domenica non è stato facile – interviene Alessandro Cavo, presidente ligure di Fipe e titolare di un locale in centro storico – perché ricevendo la notizia venerdì sera non tutti sono riusciti a fare rifornimento. Più della metà oggi ha lavorato, soprattutto nelle zone col maggiore afflusso domenicale, ed entro martedì dovrebbero essere quasi tutti operativi”.

La preoccupazione numero uno adesso è il Natale. E non solo per le serate del 25 e 26 dicembre, su cui il governo sta discutendo di una possibile deroga alla chiusura obbligata. “Il mese di dicembre – continua Cavo – vale da solo il 20% del fatturato in media. Per adesso è stata una buona partenza, ma le prossime settimane saranno importantissime per cercare di ridurre il danno. Asporto e delivery possono aiutare, ma non tutti possono adattarsi facilmente, soprattutto chi vende prodotti più elaborati”.

In gioco, insomma, non ci sono solo i cenoni natalizi, ma anche una vasta gamma di occasioni legate alle feste: si pensi ad esempio alle cene tra colleghi e agli acquisti nelle pasticcerie artigianali. “L’importante adesso è che tutti noi rispettiamo le regole – conclude Porotto rivolgendosi agli stessi ristoratori – perché altrimenti, oltre al rischio di aumentare i contagi, faremmo un danno ulteriore alla nostra economia. Un’altra chiusura sarebbe insostenibile”.

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