Genova. Bilancio positivo nei ristoranti genovesi per la prima domenica di apertura alla clientela dopo le restrizioni della zona arancione. Tante prenotazioni e un sospiro di sollievo dopo due settimane di stop, ma manca ancora qualcosa. Perché l’obbligo di chiudere alle 18 – valido anche in zona gialla – taglia fuori pub, birrerie e tutti quei locali che vivono principalmente sulla movida serale.
“Siamo contenti di questa apertura, la nostra categoria in questo mese se l’è vista davvero brutta – spiega Marina Porotto, presidente di Fipe giovani Liguria – ma un buon 30% degli esercizi sono ancora chiusi. Parliamo di bar serali, pub, birrerie, locali da ballo. Per loro è difficile reinventarsi, l’aperitivo a mezzogiorno non consente certo di recuperare tutte le perdite. Pensiamo a quei posti lontani dal centro, che non possono lavorare in pausa pranzo, e quelli che aprono solo sabato e domenica”.
E allora, visto che le maglie si sono allargate per l’orario diurno, dalla categoria giunge un appello: “Chiediamo di poter aprire fino alle 22 – continua Porotto che gestisce un locale in piazza delle Erbe -. Il pubblico esercizio è un luogo controllabile, e comunque non esistono studi che dimostrino che al bar ti prendi il Covid e non su un bus“.
A una condizione, certo: “Servono controlli sul rispetto dei protocolli. In questo modo si potrebbe tentare un servizio serale, tanto poi ci sarebbe il coprifuoco e i clienti dovrebbero comunque tornare a casa. Ma almeno aperitivo e cena ci siano concessi”.
“Aprire questa domenica non è stato facile – interviene Alessandro Cavo, presidente ligure di Fipe e titolare di un locale in centro storico – perché ricevendo la notizia venerdì sera non tutti sono riusciti a fare rifornimento. Più della metà oggi ha lavorato, soprattutto nelle zone col maggiore afflusso domenicale, ed entro martedì dovrebbero essere quasi tutti operativi”.
La preoccupazione numero uno adesso è il Natale. E non solo per le serate del 25 e 26 dicembre, su cui il governo sta discutendo di una possibile deroga alla chiusura obbligata. “Il mese di dicembre – continua Cavo – vale da solo il 20% del fatturato in media. Per adesso è stata una buona partenza, ma le prossime settimane saranno importantissime per cercare di ridurre il danno. Asporto e delivery possono aiutare, ma non tutti possono adattarsi facilmente, soprattutto chi vende prodotti più elaborati”.
In gioco, insomma, non ci sono solo i cenoni natalizi, ma anche una vasta gamma di occasioni legate alle feste: si pensi ad esempio alle cene tra colleghi e agli acquisti nelle pasticcerie artigianali. “L’importante adesso è che tutti noi rispettiamo le regole – conclude Porotto rivolgendosi agli stessi ristoratori – perché altrimenti, oltre al rischio di aumentare i contagi, faremmo un danno ulteriore alla nostra economia. Un’altra chiusura sarebbe insostenibile”.