L'intervista

Bassetti a tutto campo: “Non sono un indovino, ma si ricordano solo le mie previsioni sbagliate e non le cazzate di altri”

“Da noi il triplo dei morti, o abbiamo contato male noi o gli altri…”

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Liguria. Siamo dentro la seconda ondata del Covid-19 e mentre diminuiscono i numeri dei contagiati, i morti non accennano a scendere, anzi aumentano. In alcuni ospedali milanesi è scoppiata la polemica sull’accesso alle cure e un gruppo di medici e infermieri ha denunciato di essere arrivato al punto di dover scegliere chi curare. Queste e altre le domande che abbiamo posto a Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova. Un’intervista a tutto campo sulla situazione attuale del Covid e la lezione da trarre da questa epidemia.

L’Italia ha un triste primato globale: è al primo posto per numero di decessi giornalieri. Come se lo spiega?
“È legato a due ordini di fattori. Da una parte probabilmente perché siamo un Paese vecchio: ci sono molte persone che, anche grazie alla sanità che funziona bene, arrivano molto in là con gli anni e quando un’infezione colpisce così duramente le persone più anziane è evidente che ci sono più decessi. La seconda ragione è che portiamo in pancia un peccato originale abbastanza importante: a marzo e aprile tutti quelli che avevano un tampone positivo e che magari potevano anche non essere stati uccisi direttamente dal covid, ma magari da qualcos’altro, sono stati classificati come morti Covid. È evidente che c’è una diversità di classificazione dei decessi a livello europeo, se noi abbiamo una letalità che è quasi tre volte maggiore. O abbiamo contato male noi o loro. Io non credo che il nostro servizio sanitario – che a mio parere funziona bene – possa dire di avere una mortalità tre volte maggiore rispetto ad altri Paesi che hanno sistemi sanitari simili al nostro. Un conto poi è la letalità che è il totale di morti sul numero di contagiati, un conto è la mortalità. In marzo e aprile è evidente che c’è stata, soprattutto in alcune aree dell’Italia, ma bisognerà aspettare la fine dell’anno e guardare quale sarà la mortalità italiana del 2020, confrontandola su base nazionale con quella dei cinque anni precedenti, e vedere quale sarà stato alla fine dell’anno l’eccesso di mortalità. Una volta avuto questo dato potremo dire quale sono i motivi della mortalità. Da una parte indubbiamente è per il Covid, ma siamo sicuri che non abbiamo avuto una mortalità perchè per tre mesi ci siamo completamente dimenticati di tutte le altre malattie di cui non ci siamo più occupati?”

Negli ospedali San Carlo e San Paolo di Milano di recente i medici hanno denunciato di essere talmente in emergenza da dover scegliere l’accesso alle cure e chi salvare. Qual è la situazione attuale al San Martino? Si è mai trovato a dover scegliere chi curare per primo?
“Questo a me non è mai capitato. Io non ho mai avuto neppure per un attimo il problema di dire chi salvare o chi non salvare perchè noi in Liguria abbiamo avuto posti letto per tutti. È evidente che quando noi giuriamo davanti a Ippocrate giuriamo anche di non fare queste cose. Poi c’è l’accanimento terapeutico: è evidente che a un novantenne un tubo in gola non glielo metto se no muore dopo un’ora. Fa parte di quello che è il nostro essere medici, alcune cose si fanno su alcuni pazienti, altre non si fanno su altri. Ma non è che non si fanno perché non c’è il posto per il malato”.

Si fa un gran parlare degli integratori alimentari, lattoferrina e vitamina D che potenzierebbero il sistema immunitario, consigliandoli quale prevenzione del covid. Cosa ne pensa?
“La lattoferrina è un integratore alimentare ed ad oggi non abbiamo dati sufficienti per poter dire se funziona o non funziona, non possiamo affermare con certezza che funzioni né che non funzioni. Siamo nell’aneddotica. Non ci sono studi randomizzati”.

Lei ha un approccio ottimista, teso a non far spaventare e a rassicurare gli italiani.
“Io ho un approccio che non è ottimista ma realista, è una cosa diversa. Un realista guarda i numeri, vede come vanno le cose e le comunica. A maggio e giugno dicevo alcune cose perchè vedevo che i miei malati morivano meno, andavano meglio, andavano a casa più rapidamente. A ottobre non ho avuto nessuna vergogna a dire che le mie previsioni erano sbagliate e che avevamo una seconda ondata. Non faccio l’indovino, faccio il medico. In Italia però piace fare la dietrologia solo a senso unico. Io ho visto fare dietrologia solo su quello che ha detto Bassetti, ma non sulle cazzate che hanno detto i miei colleghi. Quelli che dicevano che ci sarebbero stati 151.000 ricoveri in terapia intensiva, quelli che dicevano che ci sarebbe stata la seconda andata come con la spagnola con 50milioni di morti, quelli che dicevano che non avremmo dovuto votare. Queste cose però se le dimenticano subito, quello che dice Bassetti resta scolpito nella pietra. Però fa parte del gioco, so di essere scomodo, non mi sono allineato al mainstream, è normale subire gli attacchi, non mi fa più né caldo né freddo sinceramente”.

Prendendo spunto dal titolo del suo libro “Una lezione da non dimenticare”, quale lezione che non dimenticherà le ha insegnato il covid?
“Quella di non farci più cogliere di sorpresa, e quella di comunicare maggiormente tra sistemi sanitari diversi. Non potrà più succedere che l’infezione nasce in un paese che ci mente sui numeri e su quello e quando era successo. Non dimenticherò lo sforzo che abbiamo fatto e che ci ha unito, parlo come medico: da noi fare gruppo ci ha unito molto, anche con le altre specialità, abbiamo fatto squadra e quindi ci sono alcune lezioni e insegnamenti che non dimenticheremo. Il Covid non ci ha lasciato solo cose brutte: certo purtroppo ci ricorderemo le bare di Bergamo, gli anziani che soffrono chiusi dentro una Rsa per otto mesi, ma ci dobbiamo anche ricordare la parte bella, la capacità di reazione del nostro Paese, il mettersi a servizio da parte dei sanitari. Noi abbiamo lavorato ininterrottamente per tre mesi di seguito senza notte né riposo il sabato e domenica. Un’altra lezione che dovremmo avere imparato è che non si può nel 2020 non avere un piano pandemico, cosa che non avevamo, non si può non avere un’organizzazione sanitaria e del territorio ed essere senza i protocolli. Le lezioni della prima ondata sono tutte nel libro che ho scritto con Martina, libro che abbiamo finito a fine di luglio e leggendolo si vede che c’è scritto tutto quello che è successo e le cose che si sono verificate sono scritte nel libro. Carta canta!”

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