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Smart working e chiusure dei locali, a Genova il Covid mette in ginocchio oltre 300 lavanderie

Non arrivano più tovaglie e lenzuola ma neppure tailleur e abiti da cerimonia. "Chiediamo di essere considerati parte della filiera" dicono da Cna

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Genova. Non ci sono soltanto i ristoranti che non portano più le tovaglie, o gli alberghi e i bed&breakfast che non portano le lenzuola. Sono spariti anche i completi e i tailleur delle persone d’affari che ormai fanno tutto su zoom, e gli abiti da cerimonia, che siano comunioni, matrimoni o battesimi. Tra i settori in ginocchio, in questo periodo di emergenza pandemica, c’è anche quello delle lavanderie. Stiamo parlando di circa 300 attività solo sul territorio della provincia di Genova e circa 480 addetti, tra dipendenti e titolari.

“Siamo preoccupati per la nostra categoria – dice la referente del settore per la Cna di Genova, Martina Corso, a sua volta titolare di una lavanderia professionale – siamo aperti, è vero, ma registriamo un calo fortissimo dovuto alle chiusure dei ristoranti e del settore turistico in generale. Inoltre, il divieto legato alle cerimonie e l’incremento dello smart working hanno certamente contribuito al calo del nostro lavoro perché sono andate perdute le abitudini quotidiane”.

Stiamo parlando di lavanderie e tintorie industriali e professionali che si trovano in difficoltà ormai da mesi e non solo a causa dell’ultimo dpcm che limita gli orari dei pubblici esercizi. “Già durante il primo lockdown, pur essendo fra le attività consentite abbiamo poi dovuto chiudere perché non c’era più la clientela”, continua Corso.

Il problema è di filiera, per questo chiediamo di essere ascoltati dal governo e di essere compresi tra le attività da ristorare a causa della perdita di fatturato – conclude la referente di Cna – per questo abbiamo deciso di fare sentire la nostra voce”.

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