Genova. Un esperimento riuscito quello di proporre un’opera che mancava da secoli a Genova, visto che l’unica rappresentazione del “Trespolo tutore” di Alessandro Stradella era avvenuta nel 1679 (il 31 gennaio) al Teatro del Falcone di via Balbi.
Il pubblico della prima di ieri, 1 ottobre, al Teatro Carlo Felice, ha apprezzato, con applausi convinti, soprattutto le prove di Silvia Frigato (Ciro), Carlo Vistoli (Nino) e Marco Bussi (Trespolo) – con tutti i sei i protagonisti che hanno terminato la loro performance in crescendo – oltre che la direzione di Andrea De Carlo alle prese con un’orchestra ristretta (una decina di strumenti), impegnata nell’accompagnare i numerosi recitativi e dando buona prova di sé durante le arie.
L’opera buffa ha una trama che si basa sugli amori non corrisposti, in primis quello della giovane Artemisia (Raffaella Milanesi) per il suo tutore, il tonto Trespolo, che invece è invaghito di Despina (Paola Valentina Molinari), la figlia di Simona (Juan Sancho), balia del pazzo Ciro e del fratello Nino. Nino invece ama Artemisia. Trespolo equivoca la lettera che Artemisia gli detta per confessargli finalmente il suo amore e la consegna a Nino. Nel frattempo anche Ciro comincia a fantasticare su Artemisia, trovando la forza di recuperare il senno. Nino invece, quando Artemisia lo rifiuta, comincia invece a perdere se stesso.
Colpisce, intanto, l’audacia del libretto, oltre che per l’uso di alcune similitudini davvero divertenti (“Tutta notte mi trattengo con un certo pizzicore, ed ancor non mi rinvegno s’ell’è rogna o s’ell’amore” dice Trespolo) e di frasi semplici ma efficaci (“L’amare è destino, non è volontà” dice Artemisia a Nino): a un certo punto Trespolo chiede a Simona di sposare Artemisia. Lei accetta, pensando poi di lasciarla a Ciro, ma alla fine, una volta incontrata la giovane, si convince che in fondo è meglio tenerla per sé.
Nel finale l’appuntamento notturno che Trespolo dà a Despina, finisce a sorpresa con l’arrivo di Ciro che rivela ad Artemisia le vere intenzioni del tutore. Quando si spegne la luce, nel buio, la giovane pensa di stare con Trespolo, invece è Ciro. La gioia per l’amore finalmente raggiunto da Ciro è comunque funestata dal pensiero del fratello che si è smarrito completamente.
Ma se pensate che l’opera abbia solo momenti leggeri vi sbagliate di grosso. Il momento in cui Nino precipita verso la follia è intenso e toccante. L’altro aspetto che scompiglia le carte in tavola sono i ruoli, come accadeva all’epoca e a cui forse siamo disabituati: Nino è un uomo con voce da contralto, Ciro è una donna con voce da soprano, Simona è un uomo con voce da tenore.
L’ambientazione è spostata in avanti nel tempo: i costumi di Nicoletta Ceccolini evocano atmosfere da belle époque, con vestaglie piumate e corpetti per Artemisia e Nino che invece di una imbraccia un mitra thompson anni Trenta, appunto. La regia di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi, con le scenografie di Leila Fteita ha inoltre riempito il palco con una scalinata circondata da diverse cornici di luci che ricordavano lo stesso teatro del Falcone e pochi, ma efficaci, elementi che si alternavano durante la messa in scena: un manichino, una chaise longue, una cornice vuota per simulare lo specchio, tre altalene. Le luci di Luciano Novelli rievocano l’epoca del cinema muto e in parte (forse troppo), ricordano un bianco e nero che mette in ombra i cantanti soprattutto nel primo atto. A gestire lo spazio con grande abilità sono gli stessi cantanti che si muovono bene sul palco, con una menzione speciale per Silvia Frigato che nella prima parte dell’opera evidenzia la sua follia attraverso la mimica della commedia dell’arte. Interessante la scelta di proiettare sullo sfondo una registrazione dei primi piani dei cantanti che sottolineano con la loro espressività ciò che stava accadendo sul palco.
Scena top: la dettatura della lettera di Artemisia a Trespolo in cui lei confessa di amarlo, mentre lui continua a non capire nulla.