Genova. Oltre un centinaio di persone sono scese in piazza questa sera sotto la sede di Regione Liguria in piazza De Ferrari per protestare contro le nuove restrizioni decise dal governo per contenere l’epidemia di coronavirus.

“Genova risponde – dicono alcuni dalla piazza – i problemi vanno avanti da anni, e queste scelte hanno solo peggiorato una situazione già difficile”. E’ una piazza eterogenea, quella che questa sera sfida all’ordinanza della Regione Liguria che – unica Regione in tutta Italia – vieta le manifestazioni anche in forma statica, cioè organizzate come presidio.

Tra gli organizzatori c’è Maura Granelli, nota come nonna Maura, leader no mask che a settembre si era incatenata davanti al Quirinale. Ci sono no mask, gilet arancioni, c’è qualcuno senza mascherina che parla di “strumentalizzazioni dell’emergenza covid per restringere le libertà”, ma ci sono anche commercianti disperati per le chiusure alle 18, disoccupati che da msi non sanno come tirare avanti e che della cassa in deroga non hanno avuto che le briciole, ci sono i gestori di palestre e piscine che sono stati chiusi nonostante gli investimenti e i lavoratori dello spettacolo. C’è anche un collettivo universitario marcatamente di sinistra che si unisce al gruppo e a un certo punto guida un corteo improvvisato di persone comuni.

Il corteo dopo essere arrivato in Prefettura torna sotto la Regione, con il reparto mobile schierato. Qualche tentativo di avvicinamento alle forze dell’ordine, ma nulla di più. Tra i manifestanti tanti ragazzi, molti dicono di essere rimasti disoccupati dopo l’inizio della pandemia. Qualcuno rivolto alle forze dell’ordine avverte: “Oggi siamo pochi, domani chissà”.

I divieti in atto avranno come conseguenza sanzioni per violazione dell’ordinanza o denunce da parte della Digos per gli organizzatori per manifestazione non autorizzata.

Ma resta un dubbio: se non è possibile manifestare neppure pacificamente e con il rispetto della normativa imposta dal Dpcm Governo (forma statica e distanziamento) chi vuole manifestare un disagio o rivendicare un diritto non avrà altra strada che affidarsi a convocazioni “di popolo” sui social con rischi maggiori di tensioni per l’ordine pubblico rispetto a una manifestazione con regole concordate e indipendentemente da chi queste manifestazioni di protesta le organizza.


La chiamata alla piazza è arrivata con il tam tam dei social, sull’onda lunga di quanto sta succedendo in altre piazze d’Italia.

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