Emorragia

L’infinita agonia del commercio a Genova: in un anno hanno chiuso più di 400 negozi

Da giugno 2019 in Liguria perso il 2,1% delle imprese. Avanzino (Fisascat Cisl): "Temiamo una situazione ancora più drammatica a fine anno"

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Genova. In un anno più di 400 saracinesche abbassate nella città metropolitana di Genova e di queste ben 82 appartengono a negozi di alimentari o affini. Sono numeri, quelli offerti da un’elaborazione delle Camere di commercio in base ai dati di Infocamere sul secondo trimestre del 2020, che fotografano ancora una volta la drammatica crisi del commercio in Liguria.

Una discesa in picchiata che non è iniziata certo nel 2020, ma che quest’anno risulta aggravata dall’emergenza coronavirus. E così il lockdown inizia a farsi sentire anche sulle statistiche che registrano il saldo tra nuove aperture e chiusure. L’ultima che fa notizia è quella annunciata da Scarpe&Scarpe a Rivarolo, con almeno 16 dipendenti in esubero. “Ma gli effetti veri li vedremo intorno a dicembre – spiega Silvia Avanzino, segretaria ligure della Fisascat Cisl – perché molte aziende stanno ancora facendo ricorso agli ammortizzatori sociali”.

Ma andiamo ai dettagli. Da giugno dell’anno scorso la Liguria ha perso esattamente 767 imprese nel settore del commercio, passando da 36.870 a 36.103 aziende in attività, un calo complessivo del 2,1%. La provincia di Genova passa da 21.163 imprese a 20.760, per la precisione 403 in meno, che corrispondono a una contrazione dell’1,9%. In realtà non è la situazione peggiore: a registrare l’emorragia più preoccupante in proporzione è il Savonese (3%).

Nello specifico, sul territorio di Genova e dintorni, sono spariti 276 negozi attivi nelle vendite al dettaglio, ma anche 119 nel commercio all’ingrosso. Sensibile il calo nel settore dei prodotti alimentari, bevande e tabacco che passa da 2.305 a 2.223 esercizi, mentre la tipologia che fa segnare la maggiore contrazione percentuale è quella degli “articoli culturali e ricreativi in esercizi specializzati”, meno 5,6% sul secondo trimestre dell’anno scorso, passando da 900 a 850 attività.

Sull’ingrosso tutti i settori perdono terreno incluso quello dell’informatica (da 101 a 95 imprese, meno 5,9%), che soffre anche sulla vendita al dettaglio (da 159 a 154 negozi, perso il 3,1%). Si salvano solo macchinari e attrezzature che salgono da 375 a 383. Chi sta meglio, nonostante tutto, è il comparto automobilistico che registra addirittura una crescita per quanto riguarda le concessionarie (da 534 a 539, lo 0,9% in più) e così anche gli esercizi specializzati in accessori e componenti (da 249 a 254, più 2%).

“Stiamo parlando di un settore che era già in crisi – ricorda Avanzino – ma adesso c’è ancora meno potere economico, calano i consumi, e queste sono le inevitabili conseguenze. Temiamo che la situazione possa essere ancora più drammatica, anche senza tenere conto di un eventuale nuovo lockdown. Tante aziende hanno dovuto investire per adeguarsi ai protocolli di sicurezza, non tutti riusciranno a riprendersi. A dicembre e gennaio vedremo i veri effetti”.

Qualche attività è riuscita a salvarsi puntando su commercio online e consegne a domicilio, “ma se la gente non ha soldi da spendere acquistare a distanza non cambia, e comunque non è detto che l’e-commerce vada bene anche nei prossimi mesi – ribadisce Silvia Avanzino -. Serve una manovra sul fisco, un grande patto per lo sviluppo e il lavoro, infrastrutture. E servono come il pane investimenti pubblici e privati”.

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