Deserto o quasi

La pausa pranzo ai tempi dello smart working: per i locali del centro incassi più che dimezzati

Gli impiegati di banche, assicurazioni, Regione e grandi aziende lavorano da casa e i bar e ristoranti della zona non lavorano. Porotto (Fipe): "Speriamo in riduzione tasse locali"

Genova. Centro città, ore 12.30 di un normale giorno lavorativo di inizio settembre: si vedono tanti giovanissimi in strada, pronti a mettersi in coda per un panino da Masetto o da Roaster o per accaparrarsi un trancio di pizza a cui si aggiungono pochi turisti seduti ai tavolini dei bar tra De Ferrari e Metteotti. Per il resto il deserto o quasi. Il tradizionale via vai degli impiegati in pausa pranzo si è più che dimezzato e così gli incassi di bar e ristoranti.

“Abbiamo perso almeno il 50% degli incassi a pranzo – racconta Massimo Cudillo, titolare trattoria alle due Torri di porta Soprana – poi ovvio settembre non è certo il mese migliore dell’anno, ci sono ancora persone in ferie”. Colpa dello smart working o della paura dei contagi? “Colpa un po’ di tutto. Per ora resistiamo, stiamo facendo il possibile per non aumentare le spese che sono ancora alte perché non tutti hanno avuto riduzioni sull’affitto da parte dei proprietari dei muri e le agevolazioni dello Stato non sono state così rilevanti, ma ovviamente siamo preoccupati per ciò che accadrà in autunno”.

Concorda appieno Giampaolo Bernini, titolare del Barbarossa, anche lui a pochi metri dagli uffici di piazza De Ferrari: “Perdite come minimo al 50% – racconta – dovute al distanziamento dei tavoli ma soprattutto allo smart working: speriamo che le persone tornino negli uffici sennò per noi sarà un disastro”. Per ora il tempo quanto meno aiuta: “Le persone vogliono stare fuori e ora non c’è nessun problema ma l’autunno ci preoccupa eccome”.

Ristoranti vuoti in pausa pranzo: colpa dello smart working

Dall’altro lato della piazza in Galleria Mazzini passa poca gente: anche qui bar e ristoranti puntavano soprattutto sugli uffici, sulle banche, sui dipendenti delle imprese più grandi che arrivano a frotte con i loro ticket restaurant: “Lavoriamo un terzo dello scorso anno a pranzo” confessa Luca Ardoino, titolare dello storico ristorante Europa mentre guarda sconsolato una galleria quasi deserta: “Come vede è tutto vuoto, noi lavoravamo molto con Costa Crociere e non solo noi: anche i negozianti potevano contare su un passaggio di lavoratori che faceva qualche acquisto e che ora viene a mancare”.

E i turisti? “Quest’anno davvero pochi, certo si sono mossi molti ragazzi giovani, loro non sono mancati ma non sono loro per forza di cose a riempire i ristoranti. quello che ci manca sono i clienti che avevamo prima”

Ristoranti vuoti in pausa pranzo: colpa dello smart working

Da largo Pertini a Piccapietra a via XX settembre la situazione non cambia: dove prima c’erano frotte di impiegati ad accaparrasi tavolini in centro o ad attendere il loro turno per sedersi ora ci sono locali semivuoti. E in alcune zone come in piazza delle Erbe, c’è chi ha scelto di non tenere nemmeno più aperto a pranzo.
Il Café latino fa eccezione: “Resistiamo perché siamo aperti a pranzo da ormai dieci anni – racconta Sean – ma quest’anno è davvero difficile. Se l’anno scorso a pranzo facevamo 80 coperti oggi siamo contenti se ne facciamo 30, ieri per esempio ci siamo fermati a 12”. Il problema sono gli uffici: “Se la gente non va a lavorare negli uffici, noi a pranzo non lavoriamo: basta guardare la piazza anche perché turismo non ce n’è, non ci sono le crociere, non arrivano persone dall’estero anche perché c’è la quarantena quindi la situazione è pesante”.

Se la sera nella zona della movida va sicuramente meglio e all’ora dell’aperitivo piazza delle Erbe è piena, per gli operatori della zona questo è anche fonte di preoccupazione: “Sì perché con le discoteche chiuse temiamo che in molti si riverseranno qui e non si tratta sempre di una clientela ottimale” dice ricordando che i locali della piazza hanno assunto a loro spese degli steward per evitare gli assembramenti e far si che le persone rispetti le prescrizioni in materia di distanziamento. “Noi il nostro lo facciamo, certo gradiremmo avere un po’ di aiuto anche dall’esterno” aggiunge.

Marina Porotto, presidente genovese dei giovani della Fipe, associazione di categoria Confcommercio che riunisce i pubblici esercizi, è titolare di due locali in piazza Erbe, entrambi chiusi per pranzo: “In questo momento per noi non ha senso aprire perché non c’è guadagno visto che lavoravamo tanto con uffici e Regione e ora con lo smart working non viene quasi nessuno. Aspettiamo la prossima settimana per capire se con l’apertura delle scuole la situazione si normalizza un minimo e vedremo se riaprire”.

Come ‘sindacalista’, esponente del direttivo nazionale di Confcommercio, “abbiamo fatto richieste continue in questi mesi, alcune ci hanno favorito come il Pos unico o come i dehors del Comune, adesso speriamo che ci sia una soluzione anche rispetto alle tasse locali a cominciare dalla Tari e che a livello nazionale ci sia un po’ più di ascolto e un po’ più di aiuti visto che si parla di contributi fondo perduto per i centri storici. Speriamo che queste misure siano attuate velocemente perché a noi servono misure attuate velocemente.

In vista dell’autunno “la preoccupazione c’è perché saremo costretti ad usare gli spazi interni e questo per noi è un problema economico. Per noi il dehors è stato ossigeno quindi non ci resta che sperare che il bel tempo regga più possibile”.

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