Genova. Applausi. Molti applausi, anche a scena aperta. Il pubblico genovese si è fatto sentire al termine dell’Elena di Euripide, tanto che gli attori, alla fine, erano quasi incerti se tornare ancora una volta a prendersi il meritato riconoscimento. Nonostante la capienza dimezzata del Teatro Ivo Chiesa, il debutto di stagione del Teatro Nazionale di Genova, con il titolo che l’anno scorso aveva spopolato a Siracusa, è piaciuto al pubblico presente.
A parte l’inizio lievemente ritardato rispetto all’orario previsto (le 20.30) per questioni legate alle procedure Covid (vi consigliamo di arrivare a teatro con un buon anticipo per non mettere in difficoltà la struttura), lo spettacolo diretto e scenografato da Davide Livermore è filato via in poco più di due ore molto intense (per la presentazione di Elena clicca qui), d’impatto per scene, musica, costumi e interpretazione. In cui la mano del regista è presente più che mai, donando alla contemporaneità di Euripide, una messa in scena rispettosa del testo, ma calata nel nostro tempo, ricordandoci quanto ami l’opera lirica e facendo un uso intelligente della tecnologia per amplificare il messaggio.
Sono diversi i motivi per non perderlo e ve li raccontiamo dopo il riassunto della trama.
La trama, in breve: Elena, per un prodigio operato da Era, si trova in Egitto mentre a Ilio è andato semplicemente un suo fantasma. Teoclimeno, figlio del buon re Proteo, che protesse Elena fino alla morte, ora vuole che lei diventi sua moglie. Per sfuggirgli Elena si è rifugiata sulla tomba di Proteo. Arriva Teucro, di ritorno da Troia, e racconta la sorte di Menelao: morto nei flutti. Elena, disperata, vorrebbe uccidersi, ma per consiglio del coro decide di interrogare prima la profetessa Teonoe, sorella di Teoclimeno. Questa le dice che Menelao è ancora vivo ed Elena torna alla tomba di Proteo. Menelao, naufrago, approda proprio nei pressi del palazzo e apprende dalla vecchia custode della reggia che Elena è lì viva. Menelao subito non ci crede, poi, quando il simulacro sparisce, si rende conto di aver davanti la vera Elena. Elaborano un piano di fuga: Elena, in lutto, convince Teoclimeno a consentirle di rendere al marito gli onori funebri sul mare. Saliti sulla nave posta a loro disposizione da Teoclimeno fanno vela verso la Grecia. Teoclimeno, infuriato, vorrebbe uccidere Teonoe, che ha aiutato i fuggitivi. Viene però convinto a risparmiare la sorella. Nel finale compaiono anche i Dioscuri, fratelli di Elena e non vi sveliamo come si conclude il tutto.
L’acqua.
Lo immaginavamo quando ci è stato detto che il palco sarebbe stato inondato e gli attori avrebbero dovuto muoversi in quella “piscina”, ma l’effetto delle luci riflesse, delle scenografie che sembrano galleggiare, dei suoni creati dai passi, dagli abiti (sontuosi e stupendi, creati da Gianluca Falaschi) e dagli effetti amplificati da sensori immersi, rende l’acqua davvero protagonista e componente importante dello spettacolo, che si concilia perfettamente con le luci (Antonio Castro) e gli effetti visivi di D-Wok.
La musica.
Una trama sonora spesso cupa, ricca di bassi, ma anche melodie buffe di corte quando Teoclimeno dialoga con Elena. La musica, in gran parte inedita, composta da Andrea Chenna, non è certo un sottofondo, ma un altro elemento fondamentale della tragedia. Una sottolineatura emozionale che amplifica la recitazione degli attori e il messaggio che trasmette il moderno testo di Euripide.
L’interpretazione.
La prova della compagnia di attori, rodata dal successo ottenuto l’anno scorso al teatro greco di Siracusa, è convincente a partire dalla protagonista Laura Marinoni, che dà alla sua Elena tutte le sfaccettature necessarie nell’evoluzione che compie durante il passaggio dalla tragedia al lieto fine, trovandosi a suo agio in tutti i registri. Ne percepiamo l’angoscia di essere stata sostituita da un doppio, diventato causa di una tragedia come la guerra, ma anche la forza e l’intelligenza (è lei a inventare lo stratagemma della nave). Menelao (Sax Nicosia) è straziante quando trascina letteralmente il relitto della sua nave, ma è lesto a vestire sia i panni dell’eroe, sia quelli del marito ritrovato, sia quelli del re. Il Teoclimeno di Giancarlo Judica Cordiglia è abilissimo a virare sul buffo e sulla leziosità di gesti e parole in costume settecentesco. Vocalmente rilevante la prova di Simonetta Cartia (Teonoe), autrice di gorgheggi notevoli e anche lei con vestito pomposo e parrucca. Efficaci e potenti sia il Teucro di Viola Marietti, sia le “messaggere”: Maria Chiara Centorami e Linda Gennari, abbigliate di paillettes come Elena. Alla vecchia custode del palazzo, una credibile Maria Grazia Solano, viene affidata una frase che oggi colpisce ancora di più: “Qui da noi i porti sono chiusi” quando Menelao, appena naufragato, chiede aiuto. A rendere il tutto indimenticabile è però il ruolo del coro, guidato da Federica Quartana: Bruno Di Chiara, Marcello Gravina, Django Guerzoni, Giancarlo Latina, Turi Moricca, Vladimir Randazzo e Marouane Zotti, entrano in scena velati e terminano a torso nudo e in gonnellona, suonando l’acqua. Bravissimi negli “insieme” e coordinati nei loro movimenti ripetitivi per una performance a tutto tondo.