Genova. La modifica al Puc per rendere abitabili i bassi di alcune vie del centro storico, l’idea (non certamente nuova) di demolire alcuni edifici per creare nuove piazze o spazi aperti e rigenerarne altri. Il piano per il centro storico del sindaco Bucci dovrebbe essere presentato la prossima settimana mentre dal punto di vista sociale il quartiere vive un momento particolarmente delicato tra le difficoltà delle attività commerciali, la microcriminalità che domina alcune zone, le lamentele per la movida e la recente ordinanza di tipo sanitario che impone l’uso delle mascherine in tutti i caruggi.
Mentre il sindaco Bucci sembra voler procedere come sempre a passo spedito, comitati e associazioni si interrogano e chiedono di essere ascoltati e si affidano a tecnici ed esperti per dotarsi di strumenti con cui confrontarsi con le istituzioni. Tra loro il sociologo genovese Agostino Petrillo, che insegna al Politecnico di Milano. Mercoledì parlerà del presente e del possibile possibile futuro dei caruggi in un incontro organizzato dalla neonata Rete Centro storico. Genova24 gli ha chiesto di anticipare alcune analisi
Sulla questione dell’abitabilità dei bassi Petrillo ricorda come si tratti “di una questione che si ripropone ciclicamente ogni volta che che serve una campagna moralizzatrice e colpisce che qui torni oggi invece nell’ottica rovesciata di aprirli anziché chiuderli”.
Il punto tuttavia è un altro: “Probabilmente si tratta di una dichiarazione di intenti per mostrare ai cittadini che l’amministrazione sta facendo qualcosa soprattutto in una zona come la Maddalena dove i tentativi di risanamento di questi anni non hanno dato risultati significativi, ma il punto è che si ripropone la solita mentalità privatistica: rendiamo fruibili questi spazi e il mercato sistemerà tutto sembrano pensare dalla giunta quando ci sono esempi come nel caso di Napoli che dimostrano che i risultati sono molto discutibili”. L’alternativa? “Per la Maddalena servirebbe un potente intervento della mano pubblica valorizzando quello che esiste come realtà culturali e di associazionismo e mettendo a disposizione spazi”.
Rispetto a quella che sembra essere l’altra grande colonna portante del piano, quella dei soldi del recovery fund per la rigenerazione del centro storico, “torna ancora una volta lo spettro del diradamento per creare nuove piazze, che pare un po’ una versione ammodernata di Le mani sulla città, che dagli anni Novanta hanno prodotto interventi edilizi discutibili. Per ora abbiamo solo letto alcune dichiarazioni e non voglio fare un processo alle intenzioni ma è vero che i soldi che arriveranno dall’Europa dovranno essere spesi nel modo migliore possibile per non sprecare un’occasione”.
Per esempio? “Riprendere il modello che si sta affermando in Europa dello ‘sviluppo verso l’interno delle città: invece di costruire cose nuove o abbattere edifici per ricostruire in Germania per esempio rivitalizzano gli spazi vuoti e dismessi, dai gasometri alle aree ex industriali”. Un modello che spesso cito è Essen, il vecchio cuore industriale della Germania, dove sono stati recuperati vecchi edifici dove c’erano acciaierie Krupp e realizzati spazi per giovani artisti, dati in affitto a cifre molto basse: parliamo ci 50 euro per 50 mq”.
Con le dovute differenze “in una città come Genova che lamenta la fuoriuscita di giovani, queste soluzioni meritano una riflessione. In questo modo le amministrazioni possono garantire la manutenzione degli edifici e creare opportunità per esempio per start up e posti di lavoro. In sostanza invece di pensare di mettere ancora una volta le mani sul centro storico si potrebbe pensare a un valorizzazione di questi spazi anche immaginando attività attrattive e remunerative”.
Anche le politiche sicuritarie di controllo vengono lette in questo senso: “L’ossessione del controllo dei vicoli è stata usata, oggi come in passato, proprio per far tentare di far passare processi di ricostruzione violenti e distruttivi. Il problema è nella cultura delle amministrazioni locali non si è ancora diffuso il concetto che il centro storico è un patrimonio inestimabile proprio per il suo tessuto socio urbanistico e non può essere considerato solo un insieme di edifici”.