Genova. A oltre 4 anni dai fatti, il processo per lo sversamento di diverse tonnellate di greggio da una condotta dell’oleodotto della Iplom, finite prima nel rio Pianego, poi nel Fegino, dunque nel Polcevera e infine in mare, di fatto, deve ancora iniziare. E spunta lo spettro della prescrizione per alcune contestazioni relative all’incidente.
L’incidente si verificò la sera del 17 aprile del 2016, quando uno dei grossi tubi che trasportava (e trasporta ancora a seguito della riparazione) il petrolio da una petroliera ormeggiata al Porto Petroli di Multedo fino alla raffineria di Busalla, esplodeva, rilasciando nel letto del torrente migliaia di litri di idrocarburi che arrivarono fino alla foce del Polcevera.
Un disastro ambientale che dopo tre anni di indagini portò ad essere 5 persone ad essere iscritte nel registro degli indagati : iL direttore della raffineria Vincenzo Columbo, Giovanni Ardossi,responsabile del servizio manutenzioni e costruzioni, Alessandro Speranza, responsabile della meccanica civile, Nicola Ghiglione, responsabile delle mobilitazioni e spedizioni di oleodotti e depositi. I quattro sono accusati di inquinamento ambientale, mentre Maurizio Locarno, ingegnere, avrebbe attestato il falso secondo le condizioni della struttura. (Per i dettagli leggi QUI).
Ma dopo le indagini, il processo, di fatto, non è mai iniziato: sul tavolo del gip, infatti, sarebbero arrivate le richieste di patteggiamento e messa alla prova degli indagati, la cui sentenza, calendarizzata lo scorso aprile, sarebbe stata rimandata causa Covid al momento a data non conosciuta. E se la sospensione delle attività processuali per il lockdown non vengono conteggiate per la prescrizione, il processo ricade ancora nei termini precedenti la recente riforma, per cui, per alcuni capi d’imputazione, potrebbe scattare al quinto anno dal fatto.
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“Bisogna correre, senza dubbio – spiega l’avvocato Valentina Antonini, che assiste il Comitato spontaneo Borzoli Fegino – il comitato ha però messo in moto tutte le strade per arrivare a tutelare i diritti e gli interessi dei residenti, che hanno subito un danno economico consistente per le loro proprietà”. Oltre al danno ambientale di cui hanno patito le conseguenze in prima persona.
Ma c’è anche un altro dettaglio, non trascurabile: nel caso fossero accolte le richieste degli indagati, di fatto il processo non inizierebbe mai, terminando con l’accettazione delle pene alternative. In questo modo, venendo a mancare tutta la parte del dibattimento, si metterebbe di fatto una pietra sopra a tutto l’accaduto, evitando di “scavare” ulteriormente su quanto è successo e sul come quel disastro sia potuto accadere. E se, soprattutto, potrebbe ripetersi.