Genova. “Se non c’è il distanziamento bisogna usare la mascherina. Chi sostiene che si può stare senza non può decidere di creare un danno agli altri. Secondo lei a ricreazione i ragazzi osserveranno un metro di distanza?”. Angelo Capizzi, presidente genovese dell’associazione nazionale presidi, assicura che la maggior parte dei dirigenti scolastici la pensano così. Una posizione che contrasta con quella espressa dalle Regioni – tra cui la Liguria – che ieri hanno detto “no” al governo e ai suoi consulenti sul tema dei dispositivi di protezione da far indossare agli studenti.
A preoccupare non sono tanto i bambini delle scuole primarie quanto i ragazzi degli istituti superiori. “Sono stati in vacanza, in situazioni di promiscuità. E’ chiaro che lì il rischio di contagio sarà maggiore”, osserva Capizzi che è dirigente del Bergese. Difficile, in ogni caso, che in momenti dedicati al gioco e allo svago come l’intervallo a metà mattina gli studenti possano essere tenuti lontani. In quei casi i dispositivi di protezione sarebbero inevitabili. “Abbiamo addirittura ricevuto alcune diffide dai genitori – rivela il rappresentante dei presidi – ma non hanno alcun valore”.
Del resto quello delle mascherine è solo uno dei tanti nodi da sciogliere per la ripresa delle lezioni che rischia di sfociare nel caos totale quando mancano poco più di due settimane al 14 settembre. Oltre alla grande incognita del trasporto scolastico, oltre alle aule mancanti, oltre ai banchi che non arrivano, c’è una questione che in sordina sta agitando un gli oltre 10mila docenti genovesi che in queste ore si stanno vedendo recapitare circolari sulla cosiddetta “sorveglianza sanitaria eccezionale“.
In pratica, coloro che soffrono di particolari malattie cronico-degenerative (ad esempio cardiovascolari, respiratorie e dismetaboliche), patologie che indeboliscono il sistema immunitario o di tipo oncologico devono chiedere al dirigente scolastico di essere visitati da un medico per accertare lo stato di “lavoratore fragile“. E questo potrebbe comportare un’inidoneità parziale o temporanea dal servizio, con la conseguenza che verrebbero meno altri docenti oltre ai mille che già mancano all’appello in Liguria.
Ma la questione è ancora più complessa. Perché invece, secondo il protocollo Inail del 23 aprile, riconfermato dal decreto legge del 19 maggio, l’avvio della sorveglianza eccezionale sarebbe previsto anche “in ragione dell’età“, e non solo delle patologie, con riferimento a chi ha superato i 55 anni.
Una platea molto ampia, intorno al 40% di tutti i docenti, se si considera che “l’età media si aggira proprio sui 50-55 anni”, come spiega Monica Capra della Cisl Scuola Liguria. “Su questi aspetti – prosegue la sindacalista – il ministero non ha dato indicazioni. Se una persona viene individuata come fragile poi come deve essere collocata nel comparto scuola? Se fosse vera questa equazione, significherebbe che buona parte del personale sarebbe a rischio”.
Le indicazioni operative del ministero però non parlano di limiti d’età e la questione rimane aperta. Ciò che paventano i dirigenti è che il meccanismo possa degenerare in una sorta di “fuga di massa“: centinaia di insegnanti che, in mancanza di garanzie, ricorreranno più spesso alla malattia. “E’ chiaro che prima con un normale raffreddore si veniva a lavorare, ora probabilmente si rimarrà a casa. Ma quei docenti poi come saranno sostituiti? Dovremo avere la possibilità di chiamare molti supplenti”, osserva ancora Capizzi.
L’altro nervo scoperto è quello dei test sierologici (volontari). In queste ore stanno arrivando gli ultimi kit e i docenti possono già rivolgersi al proprio medico di famiglia per eseguire il prelievo e, in caso di positività agli anticorpi Igm, il successivo tampone. Stime nazionali dicono però che un insegnante su tre non ha intenzione di farlo. “In realtà molti lo chiederanno a ridosso dell’inizio delle lezioni, in modo da avere la certezza di non portarsi il virus a scuola”, precisa Capra. Non tutti i medici, però, sono disponibili. E il rischio è quello di non fare in tempo.