Costi e benefici

Parco eolico della Valle Scrivia, progetto fermo al Tar: dubbi sulla produttività dell’impianto

Le potenzialità dell'impianto si scontrano con mappe e studi sulla produttività eolica della nostra regione

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Genova. Il parco eolico della Valle Scrivia è in attesa di due sentenze del Tar della Liguria, dopo che il progetto è stato impugnato dai residenti della vallata sia per la opportunità della realizzazione stessa del progetto, sia per l’allargamento della strada previsto per la costruzione del sito.

Il progetto prevede, infatti, l’innalzamento di cinque pale eoliche da 150 metri per una potenza complessiva di 10 Mw, sul crinale del Popein (da cui il parco prenderebbe il nome): per fare ciò bisognerà allargare la strada sterrata che attraversa boschi e crinali mediamente di un metro e mezzo, per arrivare ad avere raggi di curvatura di almeno 40 metri necessari per il passaggio dei trasporti eccezionali da 50 metri l’uno. Un’operazione che comporterebbe lo sbancamento di 17 mila metri quadrati di area boschiva, tra opere viarie e aree di installazione degli impianti.

Nel 2016 Regione Liguria ha approvato il progetto, con il beneplacito della Soprintendenza, vincolando il costruttore, la Fera di Milano, al ripristino ambientale della strada, ma la soluzione non convince gli abitanti della zona, che nel frattempo si sono uniti nel “Comitato salvaguardia dei crinali valle Scriva val Lemme”: “La strada devasterà irrimediabilmente il territorio, sventrando vallate ancora incontaminate”. Oltre allo sbancamento, infatti, è previsto l’apporto di materiale da cava per compattare il terreno per permettere il passaggio dei mezzi da 12 tonnellate per asse, e “il ritorno alla normalità” potrebbe essere complicato.

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“Ma la nostra battaglia non può essere battezzata con il classico ‘non nel mio giardino’ – spiega Carlo Bisio, rappresentante del comitato – quello che noi temiamo è che sia un progetto in perdita per tutto il territorio per quanto riguarda i costi-benefici di un simile impianto, la cui produttività ha molte incognite”.

Nelle carte del progetto, infatti, si attesta una produttività di circa 24 mila Mw/h, garantiti da 2400 ore di lavoro delle pale all’anno: una stima che se confrontata con le mappe legate alla ventosità dell’area sembra almeno ottimistica. La valutazione delle produttività allegata al progetto, infatti, parla di una ventosità media misurata nella’area di circa 5,23 metri al secondo a quota 40 metri, che diventano 6,5 ad altezza mozzi (100 metri) secondo una stima per interpolazione.

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Questi dati, però, per essere valutati nella loro interezza, devono essere accompagnati dal fattore Weibull (fattore K), che calcola la distribuzione continuativa della ventosità: dall’atlante eolico nazionale si ricava che la zona ha un fattore dal valore di 1,5, considerato valore basso dalla letteratura accademica sull’argomento .

Il dato è riportato nello studio del potenziale eolico allegato al progetto: l’università degli Studi di Genova, negli anni scorsi, ha pubblicato una ricerca che mette insieme questi valori per calcolare le potenziali produttività degli impianti eolici: stando a questi dati il Parco del Popein potrebbe avere una stima di potenzialità di circa 1800-2000 ore di lavoro, al di sotto di quanto riportato nel progetto.

Ma non solo: i vari modelli di pale eoliche citati dal progetto (alcuni anche di progettazione degli anni 90) hanno un valore di cut in (cioè di inizio giramento di pale) sui 2 metri al secondo di intensità del vento, ma iniziano a produrre energia a circa 4 metri al secondo, per poi lavorare a pieno regime con il massimo della potenzialità sui 13 metri al secondo. Insomma, un contesto che potrebbe essere meno produttivo di quanto ipotizzato da chi ha proposto l’impianto, che produrrà e venderà l’energia elettrica, incassando anche gli incentivi delle certificazioni verdi legate all’eolico, lasciando una percentuale minima sul territorio.

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“La nostra è una battaglia non solo per le nostre vallate, per conservarle nel rispetto del delicato equilibrio ambientale di questi monti, che sono di tutti – sottolinea Bisio – ma contro uno sfruttamento in perdita dei territori, garantito solo da un meccanismo di sussidi che distorce il rapporto tra produzione e reale costo degli impianti”. La paura è quella di avere da un lato un sacrificio ambientale importante, per una ricaduta modesta, se non negativa. Insomma, potrebbe essere un nuovo capitolo del filone ‘spese pubbliche, ricavi privati’, un grande classico della storia imprenditoriale italiana. In questo il vento non cambia mai.

(Credits foto di copertina Southern Company)

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