Genova. Gli accordi presi non sono stati rispettati, anzi: alla prima occasione, al primo vero banco di prova, sono stati disattesi, mettendo a rischio migliaia di persone. A dirlo i cittadini della Valli Stura e Orba, che in una dura lettera al prefetto, denunciano l’abbandono da parte delle istituzioni.
Stiamo parlando del “patto” tra enti locali, società concessionarie e prefettura a cui si era giunti, non senza fatica, il mese scorso, e che prevedeva un coordinamento tra i vari soggetti in ballo per evitare la contemporanea chiusura di più strade, viste le molteplici limitazioni già in atto, che di fatto isolano la vallata, rendendo quasi impossibile la viabilità ordinaria.
Un accordo che provava a dare un po’ di ossigeno dopo mesi di sofferenze quotidiane, iniziate con le frane di ottobre, a cui si sono aggiunti i cantieri sui viadotti prima, e le chiusure delle gallerie poi. Ieri notte, però, la goccia che rischia di far traboccare il vaso: chiusura notturna della A26 da Ovada a Voltri, e contemporanea chiusura della provinciale 456 del Turchino a causa dell’allerta meteo che impone l’interdizione di 50 metri di strada coinvolti da una frana, rimasta “appesa” da quasi otto mesi.
In pratica nessun coordinamento, nessun rispetto per le minime esigenze di sicurezza della cittadinanza (in caso di emergenza un’ambulanza è costretta a passare sul Turchino per andare al primo ospedale che è il Micone di Sestri, o il Villa Scassi di Sampierdarena) e nessun segno tangibile che le tante parole spese sia servite a qualcosa. “Si parla di sicurezza ma a quanto pare nessuno ha idea di cosa significhi percorrere l’unica stradina alternativa che attraversa le montagne, stretta e senza protezioni, dove si avventurano camion e si formano ingorghi di auto – si legge nella lettera firmata dal Gruppo Viabilità Valli Stura e Orba, promotore delle iniziative dal basso di questi mesi – Attendiamo che ci scappi il morto prima di risolvere i problemi a valle?”.
La lettera è indirizzata ai prefetti di Alessandria e Genova, garanti dell’accordo: “Non vogliamo intrattenerla oltre con i danni economici e sociali che tale situazione provoca. La pazienza è al limite, le 4000 persone iscritte al nostro gruppo ci propongono “azioni forti” e i primi segni di ribellione cominciano a prendere forma nonostante si cerchi di mantenere la protesta nell’alveo della legalità”.
Protesta che domani andrà nuovamente in piazza, con un presidio che, organizzato dieci giorni fa, con gli eventi di queste ore si è caricato di nuovi significati: l’appuntamento è alle 9 simbolicamente davanti al casello di Masone, dove ci saranno anche i sindaci dei comuni interessati per chiedere ancora una volta il rispetto per le 12 mila persone che vivono questi luoghi alle spalle di Genova, mai come oggi così distanti e dimenticati.