Genova. Ci sono tre tipi di querce, tre aceri, piante da frutto tra cui un giuggiolo, un albicocco, due ciliegi, un gelso e un nespolo, un salice, una magnolia e due gingko biloba, una canfora, un noce, una tamerice e ancora un nocciolo turco, due frassini diversi, un bagolaro, un pino d’aleppo un tasso e un cipresso macrocarpa a rami orizzontali, e poi un raro e delicato faggio tricolor, e gli immancabili castagno e ulivo.
Poche note di colore, e tanto verde, perché così sono i nostri parchi e così sono i nostri boschi e orti. E’ stato studiato con attenzione ed è per questo che è uscito come doveva essere, uno spazio “giusto”, intimo, emozionante. Stiamo parlando della “radura della memoria”, l’agorà pubblica realizzata in via Porro, all’ombra delle pile del nuovo ponte Genova San Giorgio.
Sono 43 alberi, come le vittime di ponte Morandi, le diverse specie di alberi che, posizionati in cerchio, sottolineati da una pedana circolare in legno, serviranno a ricordare simbolicamente chi non è sopravvissuto al disastro. L’installazione, che sarà anche una piazza per il quartiere del Campasso, sarà aperta al pubblico il 14 agosto, a due anni dal crollo, dopo un momento di raccoglimento a cui prenderanno parte i familiari delle vittime. “E’ molto bello, dà un senso di pace”, ha commentato Paola Vicini, madre di Mirko, il lavoratore Amiu morto nel crollo insieme al collega Bruno Casagrande e all’operaio di Aster Sandro Campora.
Ed è proprio Aster, da qualche settimana, il braccio operativo e il know how botanico dell’operazione. Gli alberi sono stati selezionati in base alla loro resistenza e alla loro resa scenografica. Si tratta di piante in vaso, che resteranno in vaso visto che la collocazione sarà temporanea fino a che non sarà realizzato il parco del Polcevera ideato dall’architetto Boeri e soci. Provengono da quattro fra i principali vivai italiani e dopo l’inaugurazione saranno disponibili descrizioni accurate del tipo di piante, con tanto di nome scientifico, nome comune e nome in dialetto genovese. Una targa ricorderà i nomi e i cognomi delle 43 vittime.
“Questo è uno spazio dove potremo ricordare i nostri cari in attesa del memoriale vero e proprio, speriamo che a nessuno venga in mente di vandalizzarlo e speriamo che la manutenzione sia costante”, aggiunge Paola Vicini.
Sicuramente, oltre all’importante valore simbolico, un valore estetico e urbanistico non indifferente in una zona della città che, a lungo, era stata dimenticata, attraversata raramente a piedi, eccetto che dai residenti, e che – a suo modo – rinascerà insieme al nuovo viadotto sul Polcevera, di cui ormai mancano solo alcuni dettagli.
E il valore simbolico dell’installazione è accentuato da un altro legame, quello con la zona delle Foreste Carniche, nel Friuli Venezia Giulia, colpita nello stesso 2018 da un evento che (come la tragedia del Ponte per Genova) è stato devastante: la tempesta Vaia. Il legno per la pedana viene proprio da lì.
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