Il ricordo

Tre anni senza Paolo Villaggio: “Perché ho detto che la corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca”

Tre anni senza il "padre" di Fantozzi

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Oggi sono tre anni dalla morte di Paolo Villaggio. Lo ricordiamo pubblicando un’intervista realizzata da Emanuela Mortari nel 2015

Genova. Il suo sguardo sulla realtà è uno dei più lucidi e disincantati in circolazione. La schiettezza che lo ha sempre contraddistinto e il tono burbero su cui ha costruito parte del suo successo possono confondere chi lo conosce solo “per fama”. Paolo Villaggio, 82 anni, apre le porte di casa sua a Roma e per due ore e mezza parla senza sosta, con generosità, di un passato fatto di successi straordinari, tra Fantozzi e i film girati con registi come Fellini, Olmi e Wertmuller, ma anche di che cos’è per lui la felicità, pur non sorridendo mai (“non sono mai stato capace – si giustifica – invece del sorriso sul volto mi si dipinge un ghigno”).

Villaggio, la versione cinematografica di Fantozzi ha appena compiuto 40 anni, il personaggio che le ha dato la notorietà però ha radici più lontane, com’è nato tutto?

“Facevo delle serate ad Albissola con il mio amico Fabrizio De Andrè. In uno di questi appuntamenti ricordo che c’era in prima fila una signora nota per essere proprietaria di negozi. non avevo messo neanche un piede su quel palcoscenico di legno scalcinato, che questa si è subito messa a ridere, una risata smodata per la voglia di essere protagonista da spettatrice. Allora io ho detto ‘Per favore, signora eh? Zitta’, con tono cattivo. Hanno riso tutti perché era uno stravolgimento della finta convenzione di trattare bene il pubblico. Questo è stato il primo passo. Una sera a vederci c’era Maurizio Costanzo, ha atteso la fine dello spettacolo per invitarci a Roma, promettendo che avremmo avuto grande successo. Fabrizio ha risposto ‘Non ci penso neppure’, era troppo pavido. Io ho chiesto consiglio a mia moglie, all’epoca ero impiegato alla Cosider e avrei dovuto licenziarmi. Lei ha pronunciato una frase importante per la mia vita: ‘Scegli sempre l’incerto per il certo’”.

E il successo è arrivato davvero…

“Con una Fulvia prestata dal fratello di Fabrizio che alla Spezia aveva già fuso il motore, sono partito per Roma e dopo poco eccomi catapultato in tv a Quelli della domenica con Cochi e Renato. Era previsto uno sketch con la nonna di Pippo Baudo che era tra il pubblico: mi sarei dovuto inginocchiare e chiedere alla vecchina ‘Hai portato fortuna a Pippo, cerca di proteggere anche me e Cochi e Renato, che siamo qui morti di paura’; invece la trasmissione comincia e io dico: ‘Scusate signori se non so sorridere, ma non penso che sia il caso, perché queste sono trasmissioni abbastanza deludenti’; sulla parola deludenti la nonna ha fatto una risata stridula e allora, con una violenza oscena, mi sono rivolto a lei così: ‘Zitta! Vecchia imbecille!’. È cominciato un odio mortale verso tutti quelli che pensavano che la tv andasse fatta secondo gli schemi dell’ipocrisia. È stato un colpo di Stato. Ho conquistato una fascia di pubblico di giovanissimi studenti di sinistra che l’avevano abbandonata schifati”.

Oggi avrebbe la stessa forza dirompente?

“Ormai è una strada che hanno percorso in molti, è diventato normale fare la tv più vera possibile, ma anche uguale a se stessa, è un mezzo per ipnotizzare la gente”.

Torniamo a Fantozzi…

“In quelle trasmissioni raccontavo degli aneddoti che scrivevo sull’Europeo: la domenica di Fantozzi. L’editore Rizzoli mi chiamò per propormi di fare un libro: abbiamo venduto un milione e mezzo di copie. Venne pubblicato anche in Sudamerica, in Germania e in Unione Sovietica. Lì venni paragonato a Gogol e Checov, per il senso esagerato del paradosso. Fu sempre Rizzoli ad avere l’intuizione di tramutarlo in un film”.

È vero che lei inizialmente non pensava di interpretarlo?

“È una bugia che racconto, ne ho diffuse un bel po’, non ricordo quante. In realtà lo fanno tutti ma non lo dicono. Ormai fanno parte della mia biografia. Ero ben felice invece e ho accettato subito. All’inizio la gente per strada mi diceva: ‘Se lei mi dicesse imbecille le tirerei un pugno in faccia’. Col passare del tempo invece si confidavano: ‘Sa che quel personaggio assomiglia molto a una persona che conosco?’. Fantozzi è diventato terapeutico, tutti coloro che erano intimoriti dalla loro mancanza di affermazione nella vita, sono stati curati. Il primo film è stato un successo inaudito, inaspettato: è stato in cartellone a Roma da Pasqua a Natale. Da quel momento abbiamo capito di essere i numeri uno”.

C’è una scena, quella della corazzata Potëmkin, che rappresenta, insieme alla partita di biliardo in cui batte il conte Catellani, la rivincita di Fantozzi proprio nei momenti in cui invece avrebbe dovuto subire in silenzio. Perché è entrata nella storia?

“I grandi subitori raccontano sempre un momento, che di solito è inventato, di vendetta. La corazzata era anche la rivolta degli intellettuali, che non osavano dire una cosa di quel tipo. Non perché fosse davvero una cagata pazzesca, ma perché era un film all’antica e noioso. Quando Fantozzi fu proiettato a Mosca, al teatro Lenin, davanti a diecimila persone, quella frase ebbe un effetto dirompente: il pubblico cominciò a spaccare le sedie. Fu un momento magico, avevo colpito nel segno”.

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