Genova. L’unica conseguenza certa della sentenza della Corte costituzionale che ieri dopo una lunga Camera di Consiglio ha definito legittima l’esclusione di Autostrade dalla demolizione del ponte Morandi e dalla ricostruzione del nuovo viadotto è che Aspi non potrà chiedere alcun risarcimento in sede civile per i danni dovuti all’esclusione dalla ricostruzione o per il fatto di aver pagato il nuovo ponte sulla base di un progetto ben più costoso di quello presentato dalla lei stessa proposto al commissario Bucci.
Per il resto, se sul piano politico la sentenza potrà avere un peso sul tavolo della trattativa per la revoca o meno della concessione, “sul piano giuridico non cambia nulla”. A chiarire il senso della sentenza è Lorenzo Cuocolo, ordinario di diritto comparato all’Università di Genova, avvocato amministrativista nonché oggi consulente giuridico della Regione Liguria nella vertenza con Aspi e Mit.
Da Tar e Consulta è arrivata una visione completamente diversa sulla legittimità costituzionale o meno del decreto Genova in particolare rispetto al passaggio, contenuto nell’art.1 comma 7 in cui il decreto dice al Commissario di scegliere per la ricostruzione ‘uno o piu’ operatori economici diversi dal concessionario del tratto autostradale alla data dell’evento e da societa’ o da soggetti da quest’ultimo controllati o, comunque, ad esso collegati, anche al fine di evitare un ulteriore indebito vantaggio competitivo nel sistema delle concessioni autostradali e, comunque, giacche’ non puo’ escludersi che detto concessionario sia responsabile, in relazione all’evento, di grave inadempimento del rapporto concessorio‘.
“ll Tar Liguria ha detto che il passaggio del Decreto genova era probabilmente incostituzionale perché andava contro il principio di ragionevolezza, contro art. 41 della Costituzione sulla libertà di iniziativa economica e contro, infine, il principio di separazione dei poteri perché di fatto il legislatore si trasforma in giudice” spiega Cuocolo. Di avviso opposto la Consulta che “si rifa al principio di precauzione, principio di derivazione europea, e dice in sostanza che non essendo sicuri dei danni che può aver fatto Aspi e delle eventuali responsabilità ritiene ragionevole che il legislatore in via emergenziale l’abbia esclusa dalla ricostruzione”.
Il punto però è questo: “Il decreto Genova è stato una norma emergenziale che ha tolto temporaneamente un titolo a chi ne avrebbe diritto in quanto concessionario, ma per togliere altri titoli ad Aspi, cioè la concessione stessa, occorre dimostrare che il contratto il contratto di concessione non è stato rispettato”.
Dopo il crollo del ponte e quello che è successo in questi due anni come il crollo nella galleria Berté e le ispezioni che vengono fatte ora tutte insieme non sarebbe nemmeno difficile, ma sono due i rischi per il governo: “Anzitutto una battaglia legale durissima e il rischio se andasse male di un risarcimento miliardario ad Aspi, in secondo luogo la chiamata in causa da parte di Aspi dello stesso Mit che in questi anni, anche in base a quanto sta accertando la procura di Genova, non avrebbe vigilato e al contrario firmato i piani di manutenzione che gli venivano presentati da Aspi”.
A questo punto la questione diventa tutta politica (e su questo le motivazioni della sentenza potrebbero supportare le tesi pro revoca) e tutta interna alla maggioranza con il M5S che dovrà dimostrare se la questione concessione è davvero ‘dirimente’ per la persistenza del Governo oppure se si arriverà a una mediazione per esempio con un parziale passo indietro di Atlantia e l’ingresso di nuovi azionisti tra cui potrebbe figurare anche Cassa depositi e prestiti.