Genova. Ottantacinque fra gli yacht distrutti dalla mareggiata del 2018 rimasti all’interno del porto turistico Carlo Riva smaltiti in modo del tutto illecito e in spregio di ogni tutela ambientale senza seguire le normative richieste per lo smaltimento di rifiuti speciali per risparmiare tempo e soprattutto soldi e utilizzando due società collegate a Pasquale Capuano, napoletano, pregiudicato, che avvalendosi del metodo mafioso e millantando contatti con presunti appartenenti alla camorra e alla ndrangheta, aveva promosso e gestito l’intera filiera illecita con l’intento di penetrare il tessuto imprenditoriale ligure nel settore della nautica.
L’indagine condotta dai carabinieri della Compagnia di Santa Margherita ligure agli ordini del capitano Simone Clemente ha portato oggi all’esecuzione, in collaborazione con i Comandi Arma presenti nei territori delle Province di Genova, Napoli, Caserta, Avellino e Massa Carrara. di un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip di Genova su richiesta del procuratore aggiunto Paolo D’Ovidio e del sostituto procuratore Andrea Ranalli della direzione distrettuale antimafia, nei confronti di nove indagati responsabili, a vario titolo di traffico illecito di rifiuti aggravato, violenza privata aggravata dal metodo mafioso, omicidio colposo, illecita concorrenza con violenza e minaccia e intermediazione illecita di manodopera.
Oltre a Pasquale Capuano, che si trovava già in carcere (prima a Marassi, poi ad Avellino) sono finiti agli arresti domiciliari la direttrice del porto Carlo Riva Marina Scarpino, il presidente del consiglio d’amministrazione Andrea Dall’Asta, il responsabile della sicurezza del porto Massimo Burzi, Roberto Lembo, ingegnere della british shipways di Giugliano (Napoli) con il ruolo di intermediario, Francesco Acanfora, avvocato della stessa società napoletana e Filomena Capuano, figlia di Pasquale Capuano. Divieto di dimora nel Comune di Rapallo per Federico, Dagnino, genovese e consulente del porto turistico Carlo Riva.
Il metodo
L’indagine partita subito dopo la mareggiata quanto i carabinieri di Santa Margherita insieme alla capitaneria di porto nei primo sopralluoghi post mareggiata notano la presenza sospetta di Capuano nel porto Carlo Riva dove sono accatastati gli yacht distrutti, tonnellate di rifiuti speciali che devono essere smaltiti. E’ Lembo a contattare i vertici del porto e a proporre le società legate a Capuano (la British shipways e la Ast entrambe con sede in Campania) che propongono un prezzo stracciato per smaltire gli yacht che vengono portati via dal porto senza alcuni rispetto dell’ambiente, senza le autorizzazioni necessarie per il trasporto via terra di rifiuti speciali bensì fingendo che si tratti di un trasporto di imbarcazioni destinate alla manutenzione. Gli yacht vengono invece trasportati, distrutti e interrati in tre discariche abusive, due in Toscana, a Massa e a Carrara (fra l’altro in due siti di interesse territoriale) e una a Giugliano in Campania. Per queste operazioni Capuano si avvaleva di manodopera straniera, con bolle falsificate e venivano distrutti da lavoratori nordafricani nelle discariche, da cui anche il reato di caporalato.
La morte del sub e i documenti falsi stilati dai vertici del porto
Il 12 aprile del 2019 Biagio Carannante, sub originario di Napoli, muore a 72 anni durante un’immersione nelle acque del porto di Rapallo a causa di un malore. “I dirigenti del porto Carlo Riva – racconta il capitano Simone Clemente – di fronte all’arrivo delle forze di polizia per verificare eventuali responsabilità – hanno redatto un documento di valutazione dei rischi di interferenza completamente falso addiruttura mettendo una data antecedente e facendo passare come un’immersione lecita quella che era una raccolta illecita di rifiuti dai fondali del porto Carlo Riva che Carannante svolgeva per Capuano”. Nel corso delle indagini fra l’altro è emerso che Carannante “era primo di qualsiasi tipo di abilitazione per potersi immergere”.
I falsi esposti per depistare le indagini
Che i vertici del porto di Rapallo fossero perfettamente a conoscenza del sistema illecito che ruotava attorno allo smaltimento degli yacht emerge dalle intercettazioni, come quella dove direttrice Scarpino chiama il suo collaboratore Federico Dagnino dicendo di avere un “problema grosso con Capuano” ma guardandosi bene dal parlarne al telefono. Inoltre, quando si rendono conto che ci sono indagini che potrebbero coinvolgerli tentato di sviarle inviando quattro esposti per tentare di spostare l’attenzione dal porto turistico di Rapallo alla parte pubblica dello stesso porto e di quello di Santa Margherita ligure. Anche in questo caso le intercettazioni sono eloquenti. Uno degli indagati chiama la segretaria e gli dice di cambiare le intestazione di due “specie di raccomandate” le chiama, utilizzando “anche un carattere un po’ diverso affinché non si percepisca che sono inviate dalla stessa persone”.
L’aggravante del metodo mafioso e il tentato omicidio
Pasquale Capuano, quando la ex moglie lo estromette da una delle società, la Ast facendo sostituire con un certo ‘Marco lo slavo’ e soprattutto quando scopre che i nuovi soci della Ast provano a fargli le scarpe rispetto al business di Rapallo, si procura una pistola e spara diversi colpi contro il competitor, non colpendolo a causa della distanza. Sempre nell’ambito di questa faida quando Lembo viene contattato dallo slavo che gli chiede di passare in società con loro Capuano, che lo viene a sapere, lo minaccia dicendo che avrebbe chiamato i casalesi di cui fa parte.
Le minacce a un giudice di Napoli
Minacce molto pesanti da parte di Capuano anche all’indirizzo di un giudice di sorveglianza napoletano che gli aveva vietato il trasferimento dell’obbligo di dimora da Rapallo a Massa Carrara reagisce al telefono con minacce pesantissime di “bagnare”, cioè ammazzare il figlio dello stesso giudice, facendo riferimento anche alle stragi del 1992/1993.
Oltre alle misure cautelari personali, il gip ha emesso anche un decreto di sequestro preventivo ai fini della confisca per un totale di oltre 3,6 milioni di euro a carico degli indagati e delle società coinvolte nell’inchiesta.
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