Genova. “Mi si spezza il cuore ogni volta che devo fare post di questo tipo”. Inizia così il racconto di Vanessa Russo, genovese, 21 anni, che sul suo profilo Facebook ha denunciato quello che ha vissuto in una serata come tante, una ragazza come tante. Attorno a mezzanotte, insieme a un’amica, stava camminando in via XX Settembre quando due uomini hanno iniziato a infastidirle, facendo cat-calling, come viene definito l’atteggiamento di fare complimenti non richiesti in modo insistente. Le due giovani hanno tirato dritto ma i due non desistevano, e hanno iniziato a seguirle. Vanessa e l’amica hanno dovuto iniziare a correre e nascondersi in un portone per evitare i malintenzionati e non sono uscite finché non hanno visto passare un altro ragazzo che avrebbe potuto aiutarle. Per la cronaca, i molestatori erano ancora nei pressi, le hanno viste e hanno urlato: “Brave furbette, tanto ci vediamo in giro”.
Un episodio come tanti, forse un po’ più grave di altri episodi simili, perché le due ragazze hanno avuto davvero paura. Ma, con quel post sui social, condiviso da oltre 2500 persone, Vanessa Russo ha voluto lanciare un messaggio: “Per l’ennesima volta mi viene ricordato che in quanto donna, girando sola per la mia città di sera non posso sentirmi tranquilla, devo stare attenta al lupo”. E questo, nel 2020, non è più accettabile.
“Sono molto contenta che il mio post abbia raggiunto così tante persone, vorrei dare più voce possibile a questo grido inascoltato e ricordare che queste cose esistono, succedono e che non importa se sia giorno o notte, se tu sia sobria o ubriaca, se sia molto vestita o in minigonna, accade sempre e fa sempre schifo – dice Vanessa – Comunque per precisare, io e la mia amica eravamo sobrie, lucide, in mezzo alla via principale e interamente vestite e coperte, mi dispiace specificarlo ma dati certi commenti sotto al post a questo punto preferisco farlo”.
Perché sì, uno degli aspetti insopportabili è il sottile senso di colpa che il contesto sociale ha finito per instillare in chi subisce molestie di questo genere. Come se fosse un diritto di chi infastidisce, farlo, perché davanti si trova una ragazza, una donna, che egli stesso reputa di dover appellare in qualche modo. Perché un “ciao bella” sussurrato per strada, potrà anche apparire come un semplice complimento, ad alcuni, ma è un’invasione della privacy e una piccola grande violenza per chi lo riceve, soprattutto se questo accade decine e decine di volte.
E a parte il fatto che i due uomini di cui parla Vanessa nel suo post si sono spinti ben oltre il “ciao bella”, l’altro grande scoglio è la percezione del problema da parte delle forze dell’ordine. Vanessa racconta di essere andata a denunciare l’accaduto in questura e di “essersi sentita trattare come un’idiota”. “So benissimo che il cat-calling non è un reato e ci sono cose ben più gravi, ma mi sono sentita sminuita e derisa per qualcosa che mi ha terrorizzata”. L’agente che ha raccolto la denuncia – dice la ventenne – avrebbe pronunciato frasi come “cosa ci facevate voi due ragazze a mezzanotte in giro?”, “Vuoi davvero fare denuncia per questo? Erano minacce semplici, non vi hanno toccate” o anche “Vabbè facevano gli imbecilli, vi tacchinavano”.
Vanessa e le altre ragazze come lei hanno il diritto di avere paura se due uomini le importunano e, soprattutto, hanno il diritto di uscire di casa senza dovere avere paura. Riuscite a immaginare la stessa storia a parti invertite? Un uomo di trent’anni che ha paura di uscire con gli amici perché delle ragazze “ci provano”? No. E questa è la prova che c’è qualcosa che non va.