Genova. Sono stati realizzati dopo anni di battaglie dei residenti, ricavati da un buco nero urbanistico lasciato da un mega progetto di edilizia residenziale degli anni novanta, e sono diventati fin da subito il cuore verde del quartiere. Ma oggi la loro esistenza è di nuovo messa in discussione.
Stiamo parlando dei giardini pubblici “8 Marzo”, situati in via delle Campanule, nel cuore del quartiere residenziale collinare di Quarto – Castagna, inaugurati solo nel 2015 e già virtualmente cancellati dal nuovo progetto di riassetto del trasporto pubblico del Pums, che lì vorrebbe il deposito Amt per i nuovi filobus da 18 metri, insieme alle relative officine e ai parcheggi di interscambio.
Una scelta, quella del Pums, “motivata” dalla unicità della spazio in una zona strategica per il levante cittadino, a due passi dall’uscita del casello di Nervi, ma che non ha fatto i conti con i residenti e la storia di questo territorio. Ed è per questo che i cittadini e le associazioni presenti sono già sul piede di guerra, pronti a impedire in tutti modi quello che ritengono essere un progetto “scellerato”.
L’area che sulla carta dovrebbe ospitare la nuova rimessa, è un’ampia zona costruita all’inizio degli anni novanta come onere di urbanizzazione per il complesso residenziale del quartiere creato dal nulla nella valletta del Rio Castagna, tra Corso Europa e l’omonimo viadotto della A12. Una progetto figlio degli anni del cemento facile e dalla prospettiva urbanistica corta, il cui valore immobiliare è calato fin dal giorno della sua inaugurazione. Oneri di urbanizzazione che sulla carta dovevano comprendere campi da tennis e da calcio, mai però dichiarati agibili a causa del fallimento “prematuro” della ditta appaltatrice, e quindi diventati uno dei tanti buchi neri della città.
Nel 2015, però la svolta: una associazione temporanea di scopo, costituita tra cinque soggetti (“Si può fare”, Aps capofila del progetto, Il cerchio blu ASD Onlus, Tennis “Le mimose” Asd, la società cooperativa sociale onlus “La Comunità”, Palme Sport Aps) vince il bando del municipio e inizia la manutenzione a proprie spese, e il sevizio di guardianaggio dell’area, di fatto riaprendo almeno parte degli spazi al quartiere e ai suoi residenti. “Se questo progetto passasse – spiega Tullio Torrigiani, tesoriere dell’associazione ‘Si può fare’ – i cittadini pagherebbero due volte lo scempio fatto in questi luoghi”.
La notizia del progetto presentato dall’amministrazione civica al governo è giunto come un fulmine a ciel sereno: “Siamo pronti alla battaglia legale – fanno sapere dalle associazioni “sotto sfratto” – nessuno ci ha interpellato per questo progetto, lo abbiamo saputo dai giornali, mentre su quest’area in questi anni abbiamo investito tempo e risorse”. Ma anche i cittadini si stanno organizzando: la prossima settimana, mercoledì 1 luglio alle 18, ci sarà il primo incontro di un’assemblea pubblica finalizzata alla creazione di un comitato in difesa di quest’area diventata una vera e propria oasi nel deserto del cemento. Un progetto “calato dall’alto” che ha già scatenato una corposa “risposta dal basso”: la battaglia è appena iniziata.