Genova. “Siamo aperti per dare un segnale, ma così ci rimettiamo. Non ci paghiamo neanche la bolletta della luce“. Primo caffè dopo il lockdown, primo giorno di “riapertura completa della Liguria”, come ha detto ieri il governatore Giovanni Toti. Siamo nel centro di Genova, nella parte bassa di via San Vincenzo, a due passi dalla stazione Brignole. Una manciata di persone all’esterno, ma non è la coda per entrare. È uno dei tanti bar che stamattina sono ripartiti del tutto, non solo per l’asporto.
“C’è pochissima gente, ma bisogna aprire per fare in modo che la gente si abitui”, racconta Alberto Miceli dietro il bancone. Le distanze sono ampiamente rispettate con l’aiuto del fatto che i locali sono piuttosto ampli. Una striscia di nastro adesivo giallo-nero indica i posti dove è consentito consumare in piedi, all’interno ci sono tre tavoli praticamente isolati. Nel dehors altri tre tavolini confinati agli angoli. “Abbiamo perso 45 posti”, dice Daiana Gemelli, la figlia del titolare.
Una ripartenza più di nome che di fatto, insomma. Quando sono le 7.45 a Brignole troviamo le stesse persone che si incrocerebbero forse in un normale sabato mattina. Niente fiumane di persone in uscita dalla stazione, niente assembramenti ai semafori di piazza Verdi e via De Amicis, niente studenti e impiegati che approfittano della giornata di bel tempo per fare quattro passi in via San Vincenzo e raggiungere a piedi scuole e uffici. Semplicemente perché scuole e uffici sono chiusi.
“Il problema è che la gente ha paura – racconta ancora Miceli – e soprattutto molti lavorano ancora a casa. Ci sono tanti bar aperti ma pochi clienti. E tanti vogliono evitare il bar perché temono il contagio”. Sarà una settimana di prova, pronti eventualmente a stringere sugli orari o abbassare di nuovo la serranda: “Oggi abbiamo un decimo dei clienti, andiamo sicuramente in negativo. Se lo Stato non ci aiuta in qualche modo, noi non ce la facciamo”.