Genova. “Non sappiamo ancora nulla, non abbiamo ancora un’indicazione precisa. Per ora sono solo ipotesi”. Marina Porotto, presidente del Civ “Il Genovino” che raduna gran parte dei locali della movida nei vicoli di Genova, vorrebbe rispondere ma non può. Il suo esercizio affacciato su piazza delle Erbe è già aperto per l’asporto, ma il traguardo del 18 maggio, data fissata per la riapertura completa, è adombrato di incognite: “Stiamo aspettando le regole nazionali e l’ordinanza per gestire il flusso di persone. Non c’è nulla di chiaro”.

L’immagine dei caruggi affollati durante un normale venerdì sera è stata una delle prime a subire la gogna social lo scorso 7 marzo, quando già esistevano le norme sul distanziamento sociale, ma il coronavirus era ancora un problema che riguardava la zona rossa lassù in Lombardia. Perché quella è la movida, né più né meno. Tutti appiccicati, dentro e fuori dai bar e dalle chupiterie, quando risalire la corrente in un vicolo angusto come salita Pollaiuoli può essere un’impresa titanica, soprattutto in certe fasce orarie.

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Immaginatevi ora che tutti debbano tenere almeno un metro di distanza, che nei locali si possano sedere al massimo una decina di persone e che gli altri vengano invitati a mettersi in coda giudiziosamente, magari in un corridoio come San Bernardo, Canneto o Giustiniani. “Non credo che sarà possibile – confessa Porotto -. Noi saremo i primi a cercare soluzioni ma sicuramente non metteremo il nostro lavoro davanti alla sicurezza e alla salute dei cittadini. Sapremo adeguarci alle restrizioni e saremo noi i primi a imporcele, esattamente come prima abbiamo deciso di chiudere i locali due giorni prima del lockdown, visto che non c’erano le condizioni di sicurezza”.

Dai provvedimenti nazionali e regionali si attende di capire anzitutto se ci saranno limitazioni agli orari di apertura. In caso di chiusura imposta alle 18, per esempio, il problema della movida non si porrebbe. Ma all’appello mancano tutte le regole, comprese quelle sul distanziamento. Marina Porotto ci fa entrare nel locale e ci mostra la nuova disposizione: “Di solito ho una trentina di posti a sedere, se mantengo la distanza di due metri tra un tavolo e l’altro ne recupero al massimo 12. Perché poi devo lasciare i percorsi liberi per l’entrata e l’uscita”.

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Altra questione: amici e fidanzati possono stare seduti vicini? “Sarebbe logico, ma se arriva qualcuno a controllare, come si può dimostrare che due persone sono entrate insieme?”, osserva Porotto. Il plexiglass? “Al momento non è obbligatorio per legge, noi lo abbiamo messo solo alla cassa per la sicurezza dei clienti che vanno a pagare”. Ci si improvvisa architetti, geometri, arredatori d’interni, metro alla mano e cervello in azione, per far quadrare tutto e rischiare il meno possibile. Ma le regole non sono ancora scritte da nessuna parte (le uniche, per adesso, disciplinano il take away).

Allargarsi all’esterno, per i locali del centro storico genovese, sarà pressoché impossibile. Dove c’è una piazzetta ci sono già concessioni attive per disporre tendoni e tavolini. Il resto dello spazio è vitale per passare. “Dovremo diminuire i posti esterni di più della metà – prosegue Porotto – ma abbiamo già deciso come esercenti che non cercheremo di salvare tutti i tavoli proprio perché non vogliamo aggravare una situazione già critica”.

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Non di soli bar vive il centro storico. A poca distanza, in via di Canneto il Lungo, troviamo Manuel Cabras con la sua sciammadda aperta dodici anni fa. “Qui possono stare sedute solo tre o quattro persone – spiega mostrando la mensola di fronte al bancone con gli sgabelli in fila – ma c’è un problema: se facciamo consumare sul posto non può entrare più nessuno per l’asporto. Ci vorrebbe una separazione fisica”. Ma lo spazio non c’è. Otto metri di profondità, un metro e mezzo di larghezza, e nei vicoli ci sono gastronomie e torterie ben più piccole.

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La preoccupazione è tanta: “La stagione di punta ormai l’abbiamo persa. Marzo, aprile, maggio sono andati. Cerchiamo di fare bene giugno e luglio, ma Genova è una città turistica, se non avremo affluenza da fuori regione sarà dura. Speriamo tutti che arrivi davvero la ripartenza”, osserva Cabras. Che poi, una volta finita l’intervista in diretta, si allarga nella più sincera delle domande retoriche: “Ma tu ne avresti voglia di venire a mangiare da me con tutti questi casini?”. La risposta la conosciamo già.

“Attendiamo risposte dal Governo per gli aiuti, i contributi e per ripartire in sicurezza – tira le fila Marina Porotto, che è anche nel direttivo nazionale della Fipe – e speriamo di perdere meno attività possibili. Il timore è molto forte. Non possiamo permetterci di perdere altri negozi in centro storico, è un tessuto fragile, come quello delle periferie. È impensabile che altre imprese vengano spazzate via da questa crisi”. Sui caruggi cala la sera, con l’aiuto delle nuvole che oscurano il cielo. Verrebbe voglia di andare a farsi un asinello, come ai vecchi tempi. Chissà se, chissà quando.

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