Genova. Anche prima dell’emergenza Coronavirus e delle fasi 1, 2 e chissà quali altre, se esistevano dei luoghi che facevano pensare alla pulizia quelli erano gli studi dentistici: guanti, strumenti sterili, protezioni, calzari e quell’odore di disinfettante che ti salutava appena entrato in sala d’attesa. Oggi, quegli stessi luoghi, sono messi alla prova con una serie di misure di sicurezza e prevenzione ancora maggiori. Per garantire la salute del paziente, ma anche di medici, assistenti e collaboratori.
“Innanzitutto quello che mi sento di consigliare a tutti è di rivolgersi al proprio dentista di fiducia, per chi lo abbia, perché sicuramente si sarà già organizzato per garantire interventi e visite in totale sicurezza”, dice una dentista genovese che preferisce restare anonima per evitare di alimentare ulteriormente il già ampio filone della pubblicità sanitaria.
“C’è chi promette sanificazioni miracolose e ipertecnologiche – continua – ma non ci sono studi accreditati che indichino chissà quali metodi per rendere l’aria che respiriamo a prova di Covid quindi quello che è davvero importante è igienizzare e sanificare, avere dispositivi di protezione individuale, chiedere ai pazienti di adottare determinati comportamenti, e mettere in atto tutte quelle misure che saremmo chiamati comunque a mettere in atto”.
Un paziente per volta e percorsi di sanificazione. Addio, almeno per un po’, a chiacchiere e letture di riviste in sala d’attesa. “Nel nostro studio ci sono diverse stanze operatorie e prima venivano utilizzate contemporaneamente – racconta la dentista – oggi in studio entra solo un paziente per volta, al massimo con un accompagnatore in caso di bambini o anziani non autosufficienti, le stanze vengono usate una dopo l’altra in modo da garantire ambienti sterili e di preparare quelle già sfruttate con nuove sanificazioni”. I pazienti devono indossare calzari, ne esistono di vari tipi in commercio. “E devono lasciare i loro effetti personali in un armadietto, prima di lavarsi le mani con il gel disinfettante, in ingresso nello studio e prima di entrare nella sala operatoria”, continua. “E’ una sorta di percorso al quale vengono invitati con istruzioni molto chiare e precise”.
Cosa cambia? La vestizione. “I primi giorni era veramente complicato abituarsi a tutti i gesti necessari ed era un processo lunghissimo, anche 45 minuti per portarlo a termine, dopo due settimane è diventata prassi – racconta la specialista – da noi indossiamo i capi normali da abbigliamento da lavoro, zoccoli che si usano solo all’interno dello studio, sopra gli abiti un camice monouso che viene sanificato e cambiato tra un paziente e l’altro, i guanti, protezioni di vario tipo, una Ffp2 con sopra una mascherina chirurgica che cambio dopo ogni paziente, e ancora una visiera di plastica schermante, disinfettata a ogni intervento, e una cuffia in testa coperta da una cuffia monouso, c’è chi si è dotato di tute ma soprattutto per chi lavora anche con bambini è necessario avere un minimo di flessibilità”. Inoltre “esiste un ordine preciso per indossare e spogliarsi in modo da eliminare il rischio di contaminazione”, aggiunge.
Il problema dei costi. Lo stesso tipo di abbigliamento e la stessa dotazione di dispositivi individuali è applicata agli assistenti, mentre nelle segreterie sono stati montati i classici pannelli in plexiglass e si utilizzano normali “chirurgiche”. Si aggiungano le spese per gel, per le imprese di pulizia, per gli stessi dpi e la necessità di contingentare il numero dei pazienti, si capisce che anche gli studi dentistici devono fare fronte a investimenti cospicui per garantire l’apertura in sicurezza. C’è chi ha caricato queste spese, almeno in parte, sul cliente. “Noi abbiamo preferito non farlo, non ci sembra giusto”.
Problema Dpi. “Il nostro studio attende da due settimane uno stock di mascherine ffp2 ma le spedizioni procedono estremamente a rilento – continua la dentista – siamo costretti ad acquistare al dettaglio in farmacia, con il rischio che i costi diventino insostenibili. Io credo che gli studi medici e le realtà sanitarie in genere dovrebbero vedersi garantito un percorso rapido di approvvigionamento”.
“Contaminazione non significa contagio”. Lo spiega la dentista tentando di rassicurare chi temesse una sin troppo facile trasmissione del virus. “In studio mi sento più sicura che in qualsiasi altro luogo – osserva – lo diciamo ai nostri collaboratori e ai nostri pazienti, il virus non è un grillo, l’importante è indossare i dpi necessari, lavarsi le mani, non toccare oggetti e poi portarsi le mani alla bocca, agli occhi, al naso”.