Genova. Al grido di “basta ghetti” Regione e Comune di Genova non sono intenzionate a fermarsi all’operazione Restart Begato. “Ora si partirà con le demolizioni della Diga e, poi, con i lavori di riqualificazione – spiega il presidente di Regione Liguria Giovanni Toti – ma guardiamo già avanti: faremo lo stesso con il complesso delle Lavatrici di Pra’”. Dalla Valpolcevera al Ponente, il governatore sposta il mirino su un intervento urbanistico che potrebbe avere altrettanto (se non un maggiore) valore simbolico. Così come la Diga rossa e la Diga Bianca, costruite all’inizio degli anni Ottanta da Piero Gambacciani (lo stesso di Corte Lambruschini, del Wtc di San Benigno e di Torre San Vincenzo), anche il quartiere San Pietro – questo il vero nome delle Lavatrici – progettato da Angelo Sibilla, Aldo Pino e Aldo Luigi Rizzo, ha nel tempo fatto scemare la velleità architettonica per lasciare spazio alla poca funzionalità, alle criticità strutturali, al degrado urbanistico e sociale.
Ma c’è una grande differenza tra le Lavatrici e la Diga, entrambe figlie dell’emergenza abitativa di quegli anni. Che su 670 alloggi suddivisi tra quattro blocchi, oltre 300 sono di proprietà. E se non è stato semplice spostare 374 nuclei familiari dai mediocri appartamenti del quartiere Diamante, a Begato, potrebbe essere ancora più difficile far trasferire chi, nelle case con le finestre a forma di oblò, ha investito i risparmi di una vita, magari anche sommando le metrature di più appartamenti.
C’è un’altra differenza tra la Diga e le Lavatrici: il potenziale prestigio. Gran parte delle abitazioni del quartiere San Pietro hanno vista mare e un piccolo sfogo esterno. Inoltre, potrà piacere o meno, ma il disegno bizzarro delle palazzate pare si ispiri alla corrente metodista di Kurokawa, che a Tokio, negli anni Settanta realizzo palazzi molto simili (Nakagin Capsule Tower) però in un quartiere di lusso. Anche l’esposizione è assai migliore del quartiere polceverasco, umido e spesso all’ombra.
Non a caso il Comune sulle Lavatrici ha pure lanciato, lo scorso anno, un piano di restyling basato sulla coloritura di alcune parti e sulla street art, ed è in corso la manutenzione di ben 152 alloggi sfitti. Non a caso, il sindaco Marco Bucci, oggi, alla domanda se il modello di demolizione e trasferimento applicato a Begato possa essere applicato alle Lavatrici, ha risposto in maniera ancora vaga. “Quando sarà a regime questo progetto vedremo se estenderlo ad altri quartieri, quello che ci interessa è che non esistano più situazioni di ghettizzazione, che l’edilizia residenziale pubblica sia concepita come diffusa, integrata alla città, ai suoi quartieri e ai suoi servizi”.
Uno dei motivi, oltre a quello di rilancio sociale, che hanno spinto le amministrazioni a procedere – finalmente, dopo oltre 30 anni di discussioni – alla demolizione della Diga è di convenienza economica. Spendere denaro pubblico in ristrutturazioni in case stimate 5000 euro (non al metro quadro, in tutto) non avrebbe avuto alcun senso. Quindi meglio abbattere e ricostruire, parzialmente e con tutti altri criteri. Per le case di Pra’ il gioco non sarebbe lo stesso. Tuttavia più volte i residenti della zona, più quelli che vedono le Lavatrici piuttosto che quelli che le abitano, ne hanno auspicato l’abbattimento e magari la sostituzione con altre strutture, case simili a quelle realizzate a Quarto Alta, ad esempio.
Tenendo conto che prima del quartiere San Pietro esistono tanti altri quartieri Erp (e non solo) isolati, senza servizi, con problemi cronici dal punto di vista edilizio e sociale. Il Cep di Voltri, la zona di via Sertoli a Molassana, parte della nuova Santa Eusebio, e ancora le alture du San Teodoro (via Lugo, via San Marino, eccetera), il Cige sopra Certosa. Dove magari non si spera nell’arrivo delle gru e delle ruspe, ma di qualche autobus, di negozi, centri sociali e presidi medici sì.