Genova. Le estetiste genovesi erano già pronte alla rivolta: “A domicilio noi non ci andiamo, troppi rischi“. L’ipotesi avanzata dal presidente Giovanni Toti per l’ordinanza con le riaperture anticipate al 27 aprile contemplava che i servizi di cura alla persona potessero ripartire a casa dei clienti. Poi, in piena notte, è arrivato il passo indietro: “Seguiremo i consigli e non lo faremo. Sarà il Governo a decidere”, ha scritto su Facebook. E così si dovrà attendere probabilmente il 4 maggio, quando parrucchieri, saloni di bellezza e centri estetici riapriranno al pubblico. Ma con regole ferree e del tutto inedite.
“Quando riapriremo saremo obbligati ad affrontare costi esorbitanti per adeguare i nostri locali, parliamo di 4mila euro solo per iniziare“, spiega Loredana Ambra che gestisce un centro estetico in centro a Genova. Sì, perché le normative anti-contagio prevedono l’uso obbligatorio di mascherine e visiere per tutto il personale, guanti, copriscarpe, rivestimenti monouso per i lettini.
C’è chi si sta attrezzando con pannelli in plexiglass per le procedure più ravvicinate – come il trucco permanente o gli interventi sulle labbra – e chi ha già deciso che non effettuerà quelle prestazioni. I clienti dovranno entrare uno alla volta, andare in bagno per igienizzare le mani, seguire un apposito percorso anti-contagio. E ad ogni passaggio, sanificazione totale per tutti gli ambienti. “Stiamo subendo episodi di sciacallaggio dai venditori di prodotti monouso. Ci siamo visti quadruplicare i costi delle mascherine chirurgiche. Prima con 4 euro ne compravamo cinquanta, ora costano anche 2 euro l’una. Abbiamo una paura folle, ma la maggior parte di noi vuole riaprire”.
Meno stressante la situazione per i parrucchieri, che dovranno comunque cambiare le loro abitudini. “Riceveremo solo su appuntamento e potrà entrare un cliente per ogni operatore – racconta Giuseppe Graci, responsabile del settore per Confartigianato Liguria -. Potremo usare una poltrona sì e una no. Dovremo indossare mascherine, guanti e occhiali di protezione. Anche i clienti dovranno venire con la mascherina, se non l’avranno la forniremo noi. E tutti gli strumenti andranno disinfettati, ogni volta che si termina un servizio. Per alcuni sarà un problema, ma la categoria è in fermento. Siamo fermi da due mesi, vogliamo ripartire”.
Entrambe le categorie, parrucchieri ed estetiste, hanno chiesto ai comuni una deroga alla normativa sugli orari in modo da poter tenere aperto dodici ore al giorno (8-20) sette giorni su sette. Una misura che si rende necessaria per compensare le conseguenze che la dilatazione dei tempi avrà sul numero di clienti. “Ovviamente dovremo anche pagare più straordinari”, sospira Loredana Ambra. Mettersi in condizioni di ripartire tuttavia è un obbligo, perché l’unica alternativa è chiudere i battenti. A una condizione, però: “Non vogliamo diventare ambulanti”.
Il nulla-osta per alzare le saracinesche è atteso nel nuovo Dpcm, ma è difficile che arrivi prima del 4 maggio. Nel frattempo le associazioni di categoria si erano mosse per denunciare la piaga dell’abusivismo che tra i parrucchieri, secondo stime nazionali, sarebbe aumentato del 26%. Coiffeur improvvisati che vanno a casa dei clienti senza alcun controllo sulle norme di sicurezza. E proprio per compensare questa concorrenza sleale la Regione Liguria aveva pensato di intervenire consentendo di ripartire con una settimana d’anticipo, ma senza riaprire i negozi. Un’idea che tuttavia non è piaciuta ai professionisti del settore, perché quelle norme sarebbe stato impossibile osservarle fuori dagli abituali luoghi di lavoro.