Genova. Per ora non si neppure quando potremo tornare a mangiare una margherita nella nostra pizzeria preferita o un piatto riavoli su una tovaglia a quadretti bianca e rossa, a sorseggiare un caffè macchiato o un “asinello” accompagnato da focaccia. Una cosa è certa: quando torneremo alla normalità nei bar e nei ristoranti – che sia in una fase 2 o in una fase 3 – vorrà dire che normalità sarà stata raggiunta (quasi) in tutti i settori. Ma da qui ad allora sarà necessario, da parte delle imprese, fare i conti con (ancora) pesanti sacrifici, e da parte degli utenti, abituarsi a ragionare su turni, prenotazioni, asporto. I bicchieri della staffa al banco? Ne riparliamo nel 2021.
I divisori di plexiglass sui tavoli a due sono pura fantascienza, ma ci sono altre misure che diverranno realtà per consentire ai locali di somministrazione di cibo e bevande di ripartire e di farlo in sicurezza. “E di farlo il prima possibile – spiega Alessandro Cavo, presidente di Fepag/Fipe Confcommercio Genova – l’imperativo sarà limitare il danno, che purtroppo rischia di essere pesante, uno studio della nostra associazione a livello nazionale stima che il 55% degli esercizi potrebbe non sopravvivere alla fase 2”.
E quindi, per non arrivare impreparati, le associazioni di categoria e le camere di commercio hanno già ipotizzato alcuni protocolli da attuare tenendo conto anche delle diverse realtà da città a città. “Il primo punto sarà il distanziamento sociale, quindi sarà necessario per i locali che hanno tavoli molto vicini diradarli, ma per permettere di non diradare anche la clientela sarà necessario ragionare su nuovi tempi della ristorazione, su turni, prenotazioni, l’altro aspetto, per cui abbiamo il supporto della Regione, è che oltre al delivery venga concesso l’asporto anche ai ristoranti e ai bar, quindi una persona potrà decidere di comprare un piatto e mangiarlo dove preferisce”. Secondo Cavo, e secondo la Fepag: “Forse unendo tutti questi aspetti un’impresa potrà reggere”.
L’asporto, e il delivery, in teoria, dovrebbero essere svolti prima della fase di ristorazione, per non creare assembramenti. Questo significa modificare le abitudini dei clienti, ma anche di gestori e lavoratori. Se avete mai messo piede in una cucina di ristorante avrete un’idea di quanto, questo, possa risultare complicato, soprattutto se difficilmente ci saranno le risorse per assumere personale aggiuntivo. Soprattutto nei piccoli locali.
L’altro aspetto complicato sarà quello della sanificazione. “Dovrà essere pressoché continua e si utilizzeranno soprattutto stoviglie e materiale monouso, i dipendenti dovranno avere protezioni individuali, sono tutte spese che il bar o il ristorante dovrà sostenere e, diciamo la verità, non è affatto certo che ci sia convenienza, per alcune attività, ad aprire nella fase 2”. Immaginate un ristorante in una via dove gli uffici continuano a far lavorare i dipendenti in smart working. Ha senso aprire? Probabilmente no.
E allora? Per chi dovesse decidere di prolungare la chiusura? “Da parte nostra al governo sono state avanzate delle richieste molto precise, serve liquidità, serve denaro che le imprese non debbano restituire, per ora hanno solo dato facoltà ai cittadini di indebitarsi ulteriormente, questa non è una risposta”. Servono, secondo Fepag, risorse vere a fondo perduto per le imprese parametrate alla perdita di fatturato, moratorie sugli affitti, cancellazione dell’imposizione fiscale come Imu, Tari, affitto suolo pubblico e altre imposte fino alla fine del periodo di crisi e sospensione pagamento delle utenze, ma anche prolungamento degli ammortizzatori sociali fino alla fine della pandemia e sgravi contributivi per chi manterrà i livelli occupazionali e reintroduzione dei voucher per il pagamento del lavoro accessorio”.