Genova. “Non sappiamo neppure se potremo aprire il 4 o l’11 maggio, questa totale e costante incertezza non fa che aumentare la tensione in un settore che si troverà ad affrontare un calo del fatturato del 70% nel 2020 e poi ci arrivano alle orecchie ipotesi fantascientifiche, mi chiedo se chi sta predisponendo le regole per le riaperture sia mai entrato in un negozio per comprare un paio di pantaloni”. Manuela Carena è la vicepresidente di Federmoda Genova, è titolare di un negozio di abbigliamento intimo, come tanti altri colleghi in questi giorni è impegnata tra la cura dei figli a casa e la gestione del delivery.
Quando è iniziato il lockdown imposto dal governo per l’emergenza Coronavirus i negozi di abbigliamento e di calzature avevano già in magazzino la merce per la bella stagione, acquistata l’anno prima e consegnata a gennaio. “Il carico primaverile è andato, abbiamo in stock prodotti ormai persi – racconta – però cerchiamo di ripartire e di farlo con regole che siano di buon senso, applicabili alla realtà”.
Tra le regole che non sono applicabili alla realtà, ad esempio, c’è l’ipotesi di non permettere la prova di abiti e calzature. “Impossibile, a parte che è la base del nostro commercio – riflette Manuela Carena, di Federmoda Genova – ma quindi chi acquista on line può provare abiti e scarpe e rispedirli e in un negozio no?”. Tra le regole che non sono applicabili anche la sanificazione con agenti chimici aggressivi. “Non pensate che si possano spruzzare gli abiti di candeggina, specialmente i capi delicati, ma vale anche per le calzature o per l’abbigliamento sportivo – continua – noi stiamo vagliando varie possibilità, dalle costose camere d’ozono ai raggi uva, ma servirebbe che il comitato scientifico che lavora per il governo ci desse indicazioni in merito”. Al governo, i negozianti, chiedono anche che si possano detrarre dalle tasse le spese per la prevenzione e la sanificazione.
Cosa succederà, invece, quasi sicuramente. Mascherine e guanti obbligatori per clienti e commessi, utilizzo di gel forniti dal negozio stesso. “Su questo siamo d’accordo, così come per la possibilità di fare entrare un solo cliente per volta se il negozio è al di sotto dei 40 metri quadri”, prosegue Carena.
Non sarà semplice, tuttavia – a differenza dei pubblici esercizi, che con la fase 2 rischiano di avere davvero troppo spese da sostenere a fronte di un calo dei clienti – i negozianti di abbigliamento e calzature non vedono l’ora di riaprire. “E’ necessario farlo in fretta, anche perché le nostre saracinesche aperte nelle strade potranno essere un segnale di ritorno alla normalità”.
Il delivery? Resterà una realtà. “I negozianti di vicinato continueranno a sfruttare questa possibilità – ipotizza la vicepresidente di Federmoda Genova – ed è una delle poche cose buone, il piccolo commerciante si è deciso ad affiancare al canale tradizionale anche altri canali, commercio di vicinato avrebbe dovuto essere multicanale già da prima”. Un altro aspetto positivo, per i negozi di vicinato, è che i timori di contagio da Coronavirus potrebbero permettere loro di vivere una “seconda giovinezza” e recuperare terreno sulle grandi catene. “Meno persone all’interno, meno rischio di assembramento, garanzie sull’igiene che si toccano con mano”, dice Carena.